'Il bacino del Metauro', di Raimondo Selli

Raimondo Selli

IL BACINO DEL METAURO
Descrizione geologica - Risorse minerarie - Idrogeologia

Edizione elettronica del volume edito nel 1954

PARTE I - CAPITOLO I
LA SERIE DEI TERRENI

18. Rocce eruttive e metamorfiche

Se si escludono le sabbie vulcaniche langhiane (pag. 28) e alcune mineralizzazioni forse idrotermali (pag. 77) mancano in tutta la regione marchigiana materiali in posto di origine eruttiva; sono però presenti, come ho accennato più sopra (pag. 34) dei conglomerati ad elementi eruttivi e metamorfici.
Si tratta di ciottoli spesso con dimensioni cospicue (possono superare anche i 20 cm di diametro), associati a sabbia grossolana e dei seguenti tipi litologici: graniti, sieniti, dioriti, diabasi, gabbri olivinici, porfidi quarziferi, nefeliniti, gneiss, micascisti, filladi, quarziti, arenarie glauconitiche, calcari nummolitici, ecc. Si occuparono di tutte queste varie rocce numerosi AA. e in modo particolare CARDINALI (62), CHELUSSI (73) e MARTELLI (104), ai quali rimando per maggiori notizie.

I ciottoli in questione hanno una grandissima diffusione nella regione costiera fra i fiumi Tavollo e Cesano, fino a sparire praticamente oltre i 6-8 km dal mare. Fra le località si rinvenimento si possono ricordare: dintorni di Tomba di Pesaro (M. Peloso e M. Luro), S; Veneranda, Fosso dei Condotti, dintorni di Novilara, Fosso S. Jore, Roncosambaccio, dintorni di S. Costanzo e Mondolfo. Questi conglomerati compaiono nella loro giacitura primaria all'apice della serie regressiva del Pliocene inf.-Pliocene medio p.p. I ciottoli furono poi ripresi dalla successiva trasgressione (S; Costanzo) e in seguito variamente ereditati nei depositi quaternari alluvionali (Fosso dei Condotti, Fosso S. Jore).
Però questi ciottoli non sono esclusivi dei conglomerati suddetti, ma si rinvengono, sia pure come estrema rarità e per lo più con piccole dimensioni, anche in altre formazioni neogeniche della regione metaurense e delle contermini. Così si trovarono: ciottoli di micascisto nelle marne a facies di Schlier di Fabriano (56, 121), un ciottolo di calcescisto micaceo nell'arenaria tortoniana dei dintorni di Urbino e un altro di micascisto granatifero in quella di Fiastra (72), ciottoli di micascisto nelle argille mesoplioceniche di Piagge e un masso di gneiss in quelle coeve di Appignano (Macerata) (64).
Poiché rocce del genere non affiorano in posto nè nella nostra nè, per un amplissimo raggio, nelle regioni contermini, si pone il problema dell'origine di questi ciottoli e in modo particolare, stante la loro abbondanza, di quelli del conglomerato pliocenico. I più vicini affioramenti di tipi litologici più o meno analoghi si trovano solo nelle Alpi, nella regione tosco-tirrenica e in quella dalmata. Per ammettere però una di tali provenienze occorrerebbe invocare modalità di trasporto del tutto particolari e cioè:

  1. Trasporto ad opera di ghiacci galleggianti (Cardinali, 62) o di radici di piante portate a mare dalle piene dei fiumi (Canavari, 56).
  2. Trasporto ad opera del flutto di fondo.
  3. trasporto lungo il litorale ad opera di onde incidenti.
  4. Rimaneggiamento e trapasso continuato da una formazione all'altra attraverso i periodo geologici (ciottoli ereditati) (Rovereto, 165, pag. 37).
  5. Trasporto ad opera di coltri alloctone e quindi per ereditarietà nel neoautoctono.

Già a prima vista quasi tutte queste supposizioni appaiono o impossibili o del tutto inadeguate per ammettere trasporti da così grandi distanza (Alpi, Dalmazia, Toscana).
Evidentemente è senz'altro da scartare l'ipotesi dei ghiacci galleggianti per la conoscenze ben precise che abbiamo oggi sulla paleoclimatologia del nostro Neogene; del tutto priva di valore è l'ipotesi del trasporto ad opera di radici di piante. Già il fatto che non è ancora dimostrata una cospicua azione del moto ondoso oltre i 20 m di profondità fa notevolmente scemare l'importanza della supposizione c). D'altro canto contro un'origine alpina o dalmata dei nostri ciottoli e il loro trasporto ad opera del mare secondo l'ipotesi b) o c) o altre (correnti torbide di KUENEN) stanno vari fatti: la localizzazione dei conglomerati e la loro assenza per amplissimi tratti del versante adriatico-padano dell'Appennino (73) e le notevoli dimensioni dei ciottoli. Per avvalorare l'ipotesi d) occorrerebbero ritrovamenti anche nei terreni premiocenici, a sostegno invece dell'ipotesi e) si dovrebbe riscontrare la frequenza dei tipi petrografici sopra elencati nelle Argille scagliose o per lo meno abbondanti frammenti dei vari materiali inglobati nelle Argille scagliose anche nei nostri conglomerati; ma tutto questo non si verifica. Credo inutile dilungarmi con altre considerazioni evidenti, per dimostrare l'impossibilità della provenienza dei ciottoli in questione dalle Alpi, dalla Dalmazia o dall'area tosco-tirrenica.
In tali condizioni appare necessario ammettere una provenienza diversa; cioè, come già hanno supposto alcuni AA. (82, 181) da un massiccio cristallino oggi sommerso, ma forse non ancora completamente sepolto dai sedimenti dell'Adriatico. Una tale ipotesi, per quanto non suffragata da fatti diretti, spiegherebbe assai bene la distribuzione dei nostri conglomerati in vicinanza dell'attuale Adriatico, la loro composizione del tutto particolare e assai diversa da quella degli altri conglomerati pliocenici marchigiani, le notevoli dimensioni dei ciottoli le quali dimostrano un'origine vicina e infine la presenza di tipi litologici che non trovano riscontro nelle regioni di provenienza dianzi supposte (1).

Penso quindi che nell'Adriatico, al largo di quella che è oggi la costa pesarese, emergesse durante il Neogene un massiccio cristallino. La massima emersione sarebbe avvenuta all'inizio del Pliocene medio (in concomitanza con la regressione vista a pag. 35); ne sarebbe derivata un'intensa erosione subaerea e un abbondante trasporto di detriti e di ciottoli verso W. È probabile però che fin dall'Elveziano e forse ancor più nel Messiniano questo massiccio cominciasse ad affiorare (v. i ritrovamenti citati a pag. 38). Il rilievo cristallino adriatico supposto non sarebbe in ogni caso l'Adria degli AA. (225, p. 69), intesa come continente o quasi sprofondandosi nel mare in periodo geologici recenti. Sarebbe piuttosto il nucleo eruttivo-metamorfico dell'avanpaese adriatico delimitante all'esterno l'avanfossa neogenica marchigiana.
Come ho già accennato altrove (218) e come si vedrà più innanzi (pagg. 104, 147, 180), anche altri fatti, oltre i conglomerati descritti, comproverebbero l'esistenza di un massiccio cristallino (2).

(1) Questi fatti ed altri di ordine strutturale escludono anche l'ipotesi ventilata da DE STEFANI (83) che il massiccio sepolto affiorasse durante il Pliocene nell'area marchigiana oggi emersa anziché nell'attuale Adriatico.
(2) È anche interessante ricordare che le ghiaie e i conglomerati di varia età affioranti in altri punti della nostra regione hanno composizione ben diversa da questi esaminati. Così ad esempio i conglomerati del Messiniano medio-sup., che chiudono la serie di Pietrarubbia e di Lunano sono costituiti da elementi provenienti dalle argille scagliose: i conglomerati messiniani di Cingoli, i ciottoli che si rinvengono nel Messiniano a SW di Pergola o entro le molasse all'apice del Pliocene inf.-medio p.p. fra Serra dei Conti e Staffolo provengono dalla catena marchigiana. Quest'ultima origine hanno anche le ghiaie del Quaternario inf. i sup. Ma in tutti questi conglomerati e ghiaie mancano invece elementi eruttivi o metamorfici.