PARTE IV
ALTRI MATERIALI UTILI
CAPITOLO II
MATERIALI ABRASIVI E PIETRE DA MACINE
I materiali abrasivi che si rinvengono nella nostra regione sono solo la cosiddetta rena terebrante e i tripoli (1). Essi però, e soprattutto il secondo, hanno un interesse pratico trascurabile e solo in passato furono oggetto di utilizzazione.
Più importanti sono invece le rocce che servono per la preparazione di pietra da macine e da coti e che anche oggi alimentano un'attività artigiana, cioè le arenarie e la cosiddetta pietra molare (corniola selcifera).
Passiamo quindi ad esaminare questi vari materiali.
a) Rena terebrante. Le forti burrasche adriatiche gettano saltuariamente su tratti della spiaggia fra Cervia e Falconara (e in particolare su quella Pesarese e Fanese) una sabbia rossiccia già nota fino dai tempi di PLINIO (165) e che il PASSERI (131) nel 1775 chiamò rena terebrante.
Della sua composizione si occuparono TRAVERSO e NICCOLI (181) e ancora prima CARDINALI (62), riportando semplici elenchi incompleti dei minerali presenti. La Dsa. Tomba; dell'Istituto di Mineralogia dell'Università di Bologna, ha cortesemente compiuto, su un campione raccolto dal Conte G. Castracane sul lido di Fano, uno studio completo, che riporto qui sotto integralmente:
La sabbia da me esaminata è di colore giallastro con chiazze rosa, date da plaghe più ricche di granati, a grana media, con peso specifico 3,51 (media di 5 terminazioni).
Macroscopicamente appaiono evidenti il quarzo, vitreo e in granuli a spigoli vivi, ossidi ed idrossidi di ferro, isodiametrici a mò di sferulette, cristalli rossi di granato e lamelline di biotite, di muscovite e di clorite.
Un'accurata osservazione microscopica mi ha rivelato la presenza di: quarzo, abbondante;
feldispati, non molti, rappresentati tanto da ortoclasio quanto da plagioclasi, il primo ed i secondi abbondantemente caolinizzati. I plagioclasi sono di frequente geminati secondo la legge dell'albite. Su 15 cristalli ho determinato l'angolo massimo di estinzione simmetrica in zona normale a 010) risultato di 23° ± 2 corrispondente al 43% di anortite;
muscovite e biotite, diffuse circa in eguale quantità;
anfiboli, dati da:
orneblenda piuttosto abbondante, con l'angolo zy = 13° (media di 15 determinazioni);
glaucofane non troppo raro, facilmente riconoscibile per il suo pleocroismo:
a - gialle, b - violetto, y - azzurro, zy è uguale a 4° (media di 6 terminazioni);
tremolite, poco diffusa incolora;
actinolite, anch'essa scarsa, giallastra e giallo verde;
pirosseni, rappresentati da:
iperstene, raro con tipico pleocroismo rosso-bruno, giallo-bruno e grigio-verde, e la bassa birifrazione;
diopside, scarso, debolmente pleocroico, con zy variabile da 39° a 44°;
augite, il più abbondante, verde bottiglia;
magnetite, scarsa;
opatite piuttosto scarsa, come pure
zircone ed ematite
rutilo, scarso;
granato, abbondante, talora anche in rombododecaedri molto netti, di colore rosa;
topazio, scarso;
epidoti, discretamente rappresentati, di tipo zoisitico e pistacifico;
clorite, sotto forma di pennina, frequente;
calcite, diffusa.
Questa sabbia si differenzia da quella normale del litorale romagnolo-marchigiano fra Cervia e Falconara (13, 74) essenzialmente per la notevole percentuale di granato e la maggior dimensione media dei granuli che in passato pare fossero anche più grossi (62); differenze più precise si potranno credo mettere in evidenza con accurate ricerche statistiche di frequenza dei vari componenti di molte altre sabbie attuali. Naturalmente data la saltuarietà del trasporto e dell'accumulo ad opera del mare, la rena tenebrante non ha composizione costante ma è necessariamente più o meno commista con quella normale di origine fluviale.
Come per certi conglomerati pliocenici (pag.37), si presenta anche per questa sabbia il problema dell'origine, per la quale gli AA. hanno emesso varie ipotesi (1):
a) Provenienza da rocce cristalline sommerse oggi nell'Adriatico ma emergenti sul fondo (TRAVERSO e NICCOLI, 181).
b) Origine padana e concentrazione ad opera del trasporto marino dei minerali pesanti. Il trasporto sarebbe avvenuto mediante la corrente litoranea (ARTINI, 13) o il flutto di fondo (CHELUSSI, 74).
c) Provenienza appenninica per dilavamento delle rocce mioceniche e trasporto fluviale (CHELUSSI , 74).
d)Provenienza per disgregazione dei conglomerati pliocenici (DE STEFANI, 83).
e) Origine per dilavamento di un massiccio cristallino antico e quindi passaggio per rimaneggiamento successivo nelle formazioni mioceniche e via via nei depositi attuali (sabbia ereditata) (ROVERETO, 165).
L'ipotesi b), che è stata più frequentemente sostenuta, presenta alcune difficoltà.
Anzitutto si può osservare che questa rena compare saltuariamente solo sul litorale fra Cervia e Falconara; inoltre i trasporti dei materiali lungo la costa avvengono da SE verso NW come dimostrano gl'insabbiamenti a S dei moli (40), la comparsa dei ciottoli del Metauro anche a N di Rimini e l'esistenza di una controcorrente spesso forzata dallo scirocco lungo il litorale romagnolo-marchigiano a N del Conero, diretta da SE verso NW e sensibile fino a 8-10 km dalla costa. D'altra parte non è stata ancora dimostrata una cospicua azione del moto ondoso oltre i 20 m di profondità, come sarebbe necessario per ammettere, dati questi fatti, un'origine padana della nostra sabbia. L'ipotesi c) sopra accennata non trova appoggio, come dovrebbe, su quel po' che si conosce circa la composizione petrografica delle rocce mioceniche (71, 72, 73) e rende inspiegabile la saltuarietà di questa rena, la su assenza nelle Marche centro-merionali, ecc.
L'interpretazione d) oltre che assai poco probabile, data la non corrispondenza fra la distribuzione dei ciottoli pliocenici e quella della rena, non fa in definitiva che spostare il problema (v. pag. 38). Per l'ipotesi e) si possono ripetere le obbiezioni già esposte per quelle c) e d); inoltre resta sempre il carattere petrografico nettamente diverso di tutte le sabbie neogeniche delle Marche.
In tali condizioni mi pare che l'ipotesi a) sia la meno probabile; cioè ma rena terebrante potrebbe avere un'origine puramente adriatica o da rocce cristalline o da loro prodotti di disfacimento tuttora emergenti sul fondo dell'Adriatico. La recente scoperta di un fondo roccioso a 25 km circa dalla costa al largo di Sinigaglia (213) potrebbe confermare una tale interpretazione. Inoltre anche la grande quantità di Foraminiferi oligocenici e miocenici rimaneggiati sulla spiaggia di Porto Corsini possono rappresentare un'altra prova indiretta; infatti il loro perfetto stato di conservazione male si spiega con una provenienza appenninica, mentre più facile sarebbe supporre una origine adriatica.
Si può perciò concludere che allo stato attuale delle conoscenze l'origine adriatica della rena terebrante sembra essere la più plausibile. Per avere però una risposta definitiva a questo problema occorre compiere ricerche assai più complete sui fondi marini adriatici, sullo spostamento dei materiali, sulla psammografia dei litorali e delle rocce neogeniche marchigiane,ecc.
La rena terebrante data la sua durezza, determinata dall'abbondanza di granato, fu in passato oggetto di raccolta, di commercio e di impiego come abrasivo. Non ho però potuto trovare notizie precise al riguardo, salvo quelle riportate dagli AA. (13, 62, 181, ecc.). Ad ogni modo la saltuarietà dei ritrovamenti, l'entità e composizione variabili e la presenza oggi sul mercato di materiali assai migliori e a caratteristiche ben definite e costanti sono tutti elementi, che non permettono uno sfruttamento e un impiego di questa rena, salvo che per piccole attività artigiane locali. Il suo valore industriale resta perciò limitatissimo se non nullo.
b) Tripoli. Accenno brevemente a questa roccia, dato che il suo uso come abrasivo è ormai decaduto e ben noti sono i suoi caratteri. Essa è di colore biancastro, giallastro o lievemente bruniccio, facilmente fogliettabile, leggera, a grana finissima e a straterelli netti e sottili. È costituita in gran parte da silice colloide (opale) in particelle minutissime o sotto forma di spicole di spugna, diatomee e rari radiolari; variabile e talora sensibile è il contenuto in carbonato di calcio, maggiore gli ittioliti e le filliti.
Come ho già detto (pag.32 e 93) il tripoli si trova alla base della formazione gessoso-solfifera, ma talora può presentarsi anche in straterelli assai sottili nelle marne interposte o sovrapposte ai gessi; mi sono anche già intrattenuto sull'origine di questa roccia (pag. 89). Nella nostra regione l'orizzonte dei tripoli si presenta molto ridotto e spesso intercalato da marne argillose. Gli spessori maggiori di rado superiori al metro o poco più, si trovano sul fianco NE della sinclinale di Isola del Piano-Ponte degli Alberi (S. Martino Casalduca, Stramigioli e Gessare) e sul fianco SW della sinclinale di Tomba di Pesaro (Mondaino, Montegaudio); più ridotti presso S. Ippolito.
Nella nostra regione non è noto sia mai stato sfruttato il tripoli. Lo si cavò invece nei dintorni di S. Leo (valle del Marecchia) e più precisamente presso Castelnuovo, S. Lucia, ecc. nell'ultimo ventennio del secolo scorso, con produzioni fino a 110 tonn. (1888). Il prodotto era suddiviso in tre qualità, di cui la più pregiata di color pallido e più compatta era smerciata in Francia. L'estrazione veniva fatta con piccoli scavi a giorno, di rado con gallerie e pozzi.
Oggi l'impiego del tripoli come abrasivo è ormai abbandonato; inoltre sia per questa sia per eventuali altre utilizzazioni (coibente termico, mattoni leggeri, ecc.) i nostri tripoli metaurensi mal si presterebbero dati le notevoli impurità marnose e gli esigui spessori.
c) Arenarie. Mi sono già occupato di queste rocce come materiale da costruzione (pag.122); qui ricorderò solo che con le varietà migliori di arenarie della formazione miocenica umbra (pag. 25) vengono talora confezionate anche pietre da arrotare. Ciò si verifica specialmente poco a monte di Borgo Pace lavorando blocchi portati dal Metauro; il diametro massimo di queste mole è di m 0,5. Si tratta però evidentemente di una modestissima attività artigiana che non può avere certo preteso di sviluppo.
d) Pietra molare. È questo l'unico fra i materiali citati in questo capitolo che forma tuttora oggetto di lavorazione e commercio.
Come si è detto (pag. 8) la porzione superiore della formazione della pietra corniola è abbondantemente selcifera, per lo più con noduli isolati e schiacciati, ma spesso con veri letti di selce, che possono raggiungere il decimetro e oltre di spessore e molti metri di estensione. Questi letti si possono trovare o entro lo strato calcareo o presso le sue superfici o anche isolato dal calcare; la loro superficie è pianeggiante salvo dolci ondulazioni e qualche bernoccolo. Variabile è lo spessore degli strati calcareo-selciferi e per lo più compreso fra i 12 e 40 cm.
Ecco come avviene la lavorazione. Gli strati con letti regolari ed estesi di selce vengono scoperti da quelli inutilizzabili, quindi distaccati a mano con scalpelli e cunei sfruttando i netti giunti di stratificazione spesso marcati da lievissime intercalazioni marnose, con lo stesso sistema usato nelle cave di corniola e di marmarone. Nel caso che il letto di selce si trovi entro lo strato calcareo viene asportata con lo scalpello una delle due porzioni calcaree. Si procede poi alla sagomatura dei pezzi, alla loro unione e cerchiatura. Si ottengono così delle mole circolari costituite da un supporto calcareo e da una faccia di selce, composte di più pezzi tenuti assieme dal cemento e dai cerchi. In certi casi è possibile ottenere mole di un sol pezzo, ma ciò capita di rado; per lo più esse sono costituite da un numero vario di elementi, fino a 7. Il diametro può raggiungere m 1,50 e lo spessore in media 25-30 cm. Quando i letti di selci sono isolati o isolabili o il calcare che vi aderisce è troppo esiguo si fa il montaggio dei pezzi su cemento, che viene così a costituire il supporto della mola.
Cave di pietra molare (come vien chiamata questa corniola selcifera) più anticamente note si trovano a NE di Chiaserna alle falde del Catria. Qui si hanno principalmente 3 orizzonti buoni di selce, compresi in uno spessore di circa 10 m di roccia; gli strati calcareo-selciferi utili sono spessi 28-40 cm. Lavorazione e montaggio avvengono a Cantiano, che ne è anche il centro di smercio.
Recentemente si è iniziato lo sfruttamento anche della pietra molare del versante NE di M. Acuto, dove gli strati calcareo selciferi hanno spessori di 12-30 cm. La lavorazione vien fatta a Frontone. Un tempo fu escavata pietra molare anche alle Foci del Bosso presso l'Eremita, lungo la strada Pianello-Secchiano, da due piccole cave ora abbandonate.
Il centro di produzione è sempre Cantiano dove alla fine dell'800 si producevano 60-80 coppie di mole all'anno. Mi mancano dati più recenti.
Se, come sembra, queste mole sono di nuova qualità, per incrementarne la produzione sarebbe necessario disporre di cave più facilmente accessibili. Ciò non dovrebbe essere difficile a realizzarsi con opportune ricerche di altri affioramenti presso buone strade già esistenti o con il miglioramento delle vie di accesso alle cave attuali.