'Il bacino del Metauro', di Raimondo Selli

Raimondo Selli

IL BACINO DEL METAURO
Descrizione geologica - Risorse minerarie - Idrogeologia

Edizione elettronica del volume edito nel 1954

PARTE I - CAPITOLO II
LA TETTONICA

La nostra è tipicamente una regione a pieghe almeno nella maggior parte della forme strutturali osservabili e prescindendo dai fenomeni disgiuntivi esistenti nei complessi calcarei rigidi del Mesozoico profondo, solo in parte affiorante. Per avere però un quadro complessivo di una certa fedeltà è necessario esaminare i principali tipi strutturali che in superficie appaiono regionalmente distinti e che sono connessi con la composizione litologica e gli spessori delle serie stratigrafiche. Questi tipi strutturali sono tre: la tettonica dei rilievi mesozoici, quella del Neogene esterno e infine quella della formazione marnoso-arenacea interna. Cominceremo dalla prima, della quale le altre due possono considerarsi, almeno in parte, i riflessi (1).

1. La tettonica dei rilievi mesozoici.

I rilevi mesozoici (2) affioranti nella regione del Metauro e corrispondenti grossomodo a grandi anticlinali sono (procedendo da SW a NE) i seguenti: M. Petria-M. Cucco, M. Nerone-M. Petrano-M. Catria, M. Roma-M. della Strega, Montoego, Abbadia di Naro, Acqualagna, Furlo, Cesana (3). Il primo e il terzo di questi affiorano solo in minima parte nel nostro bacino, per estendersi più ampiamente in quelli contigui; il quinto è solo una modesta anticlinale; tutti sono poi fra loro subparalleli e con un generale orientamento NW-SE. LA varia profondità dell'erosione, ma soprattutto il diverso innalzamento dei vari rilievi fanno affiorare nel loro nucleo rocce diverse; così solo nei rilievi Nerone-Catria, M. Roma-M. della Strega e Furlo affiora il calcare massiccio , al Montoego la corniola, in quelli di Aqualagna e della Cesana solo la porzione più elevata del calcare rupestre, infine all'Abbadia di Naro solamente la scaglia.

(1) Per notizie complementari a quelle esposte in questo capitolo rimando a pag. 177 e a una mia nota già pubblicata (217).
(2) Intendo anche qui, come nel capitolo precedente, questo termine nel senso strutturale e non morfologico, anche se sono osservabili nella nostra regione inversioni di rilievo.
(3) Nell'indicare i vari elementi strutturali qui e in seguito ho cercato di scegliere le località più significative e più facilmente rintracciabili sulla carta topografica, anche se talora un po' a scapito della precisione.



Data l'analogia strutturale che intercorre fra i rilievi nominati, credo sia sufficiente scendere a qualche dettaglio solo per i più tipici di questi, cioè per quelli che, presentando anche i termini più antichi della serie stratigrafica, meglio permettono la ricostruzione strutturale e dinamica. Mi rifarò inoltre essenzialmente alla struttura del rilievo M. Nerone-M. Catria o meglio alla porzione di esso compresa fra i torrenti Biscuvio e Burano, che meglio mi è nota per le mie ricerche (1).
La struttura dei rilievi mesozoici, come pure parte di quella delle zone oggi coperte dal Terziario, è stata essenzialmente determinata dal comportamento del calcare massiccio (basale rispetto alla serie affiorante) alle sollecitazioni tettoniche. Questo complesso di grande spessore, certamente superiore ai 450 m circa affioranti alla gola del Furlo, è dotato di una notevole rigidità determinata, oltre che dalla sua potenza, dall'assenza o quasi di netti piani di stratificazione. Perciò assoggettato alle spinte tettoniche si è comportato come un unico enorme strato calcareo a notevole coesione interna, il quale in un primo tempo si è potuto curvare secondo pieghe ad ampio raggio e in seguito per il persistere o il riprendere degli sforzi compressivi si è rotto secondo numerose faglie a grande o piccolo rigetto, dirette o inverse a seconda dei casi.

Il piegamento, come è chiaramente visibile sul terreno, è stato anteriore e , anche se le pieghe sono state successivamente dislocate mediante faglie, è facilmente ricostruibile nei rilievi dove affiora ampiamente il calcare massiccio . La curvatura delle anticlinali è sempre piuttosto dolce e la volta è pianeggiante come dimostrano le ampie zone a strati suborizzontali osservabili lungo l'asse o in prossimità di esso al M. Nerone e alle foci del Burano. Talora l'anticlinale maggiore presenta anche leggere ondulazioni secondarie per cui si può avere anche un accenno a un piccolo assetto anticlinoriale (M. Cimaio), ma più spesso l'anticlinale è semplice (Furlo). In tutto il grande rilievo Nerone-Catria è netta l'asimmetria dei fianchi con una marcata vergenza verso NE; così ad esempio nella conca di Pieia le pendenze giungono fino a 20° circa verso SW, invece nel versante opposto del M. Nerone addirittura fino a 45° verso NE. L'anticlinale del Furlo ha un'asimmetria pressoché nulla; minima lo ha pure la Cesana. Sempre notevole è poi la lunghezza di queste anticlinali, così quella del Nerone-Catria supera ampiamente i 30 km Bisogna però tener

(1) Rimando a un mio prossimo lavoro lo studio stratigrafico e tettonico dettagliato di questo grande elemento strutturale.


presente che queste grandi pieghe presentano varie ondulazioni longitudinale, per cui spesso rappresentano in realtà dei rosari di pieghe allineate su uno stesso asse; così ad esempio il rilievo Nerone-Catria presenta almeno due culminazioni, una al M. Nerone e la Montagnola e una seconda al M. Catria, per non parlare di altre probabili; ma su questo fenomeno, pressoché generale nella regione marchigiana, dirò meglio in seguito. La larghezza delle anticlinali non è più misurabile con precisione a causa delle fagliature successive, ma forse in certi casi ha superato gli 8 km.
Le faglie, formatesi posteriormente al piegamento si possono distinguere in tre gruppi a seconda della loro posizione e orientamento rispetto alle pieghe: faglie longitudinali marginali (cioè sui fianchi delle anticlinali), faglie pure longitudinali presso la cerniera delle pieghe, faglie trasversali od oblique presso le terminazioni delle pieghe o in zone di particolari sollecitazioni.

Vediamo le prime. All'orlo SW del M. Nerone, lungo il Fosso dell'Eremita e a S di Pieia, il massiccio è troncato da grandi faglie dirette e conformi, per cui esso viene a contatto col calcare rupestre o con le marne a Fucoidi; al contatto è netta la discordanza angolare di modo che contro il massiccio a dolce inclinazione vengono a poggiare i terreni cretacei con forti pendenze o subverticali. Al bordo NE del M. Nerone il calcare massiccio è tagliato da faglie, che pur essendo spesso all'affioramento subverticali o poco inclinate, sono interpretabili solo come faglie inverse e contrarie, dato il forte arrovesciamento della contigua sinclinale Piobbico-Secchiano. Cioè i fianchi dell'anticlinale del M. Nerone sono tagliati da faglie dirette nella gamba SW, inverse in quella NE (1). I piani di tutte queste faglie sono subparalleli e con una generale immersione aggirantesi in media sui 50-60° verso SW; i rigetti non sono valutabili perla subconcordanza coi piani di faglia assunta dalle rocce

(1) È merito di SCARSELLA (175) aver per primo messo in evidenza questo assetto strutturale nelle Marche ed Umbria centromeridionali.


cretacee a differenza del massiccio, che ha conservato le pendenze primitive, ma essi devono ascendere a centinaia di metri (1).
Negli altri rilievi mesozoici si ripetono gli stessi fenomeni per quanto meno tipici. Al Furlo mentre la faglia inversa (ben visibile presso la diga)è subverticale, la faglia nel versante SW del rilievo ha 50-60° di inclinazione, cioè una tendenza di poco superiore a quella degli strati. All'Abbadia di Naro la faglia diretta è assai poco visibile, invece molto marcata e subverticale è quella inversa di NE sotto Frontino vecchio. Alla Cesana sono ancora presenti i due gruppi di faglie, che però interessano anche il Neogene (Bisciaro e Schlier); particolarmente evidente è la faglia diretta si SW, subverticale e seguibile sul versante sinistro della valle del Metauro fra Canevaccio e Calmazzo.
Queste faglie pur non essendo sempre le più appariscenti(2), sono certamente le più cospicue e permettono l'interpretazione del motivo strutturale profondo. Esse sono infatti essenzialmente l'espressione di sollevamenti con una forte componente orizzontale, che hanno determinato l'incunearsi del rigido calcare massiccio entro le rocce sovrastanti più deformabili secondo lo schema di grandi embrici tettonici (fondamentalmente uno per ogni anticlinale preesistente, oltre ai minori di limitato interesse) vergenti verso NE, i quali dopo la rottura (o meglio la loro formazione) si sono in parte accavallamenti fra loro o sulle sinclinali contigue scivolando su probabili rocce plastiche profonde, (forse nel Trias medio o Trias sup.). Questo parziale accavallamento e l'inclinazione dei grandi piani di faglia sono stati originati dalla componente orizzontale del movimento.
Il secondo gruppo di faglie longitudinali, quelle cioè della parte più alta della piega, ha generalmente un interesse minore. Nel gruppo del M. Nerone hanno varie inclinazioni, individuando spesso dei cunei con l'apice volto verso l'alto, sono ora dirette ora inverse ora verticali e rappresentano la conseguenza delle forti sollecitazioni subite dalla cerniera della primitiva anticlinale. Al Catria (Balze degli Spicchi) e più ad E (M. S. Vicino(34)) sono invece assai più cospicue e delimitano veri embrici tettonici di dimensioni minori di quelli

(1) Non è affatto esagerato, ma semmai approssimato per difetto, come ho avuto modo do constatare io stesso, il rigetto di 1500 m calcolato da FOSSA-MANCINI (206), per la faglia inversa che delimita a NE la Montagna della Rossa, dove la scaglia rossa viene a contatto con il Pliocene inferiore presso Serra S. Quirico.
(2) Soprattutto la faglia inversa, se non affiora direttamente a contatto del massiccio, è poco visibile a causa dello scollamento della scaglia sovrastante e delle strutture superficiali derivate. Di ciò dirò meglio in seguito.



ricordati ma sempre incuneati nelle formazioni più recenti secondo un meccanismi analogo a quello descritto.
Un esame dettagliato delle varie faglie, che ho riunito più sopra in un terzo gruppo, mi porterebbe necessariamente a un'esposizione di troppi fatti locali. Esse sono localizzate presso le terminazioni dei rilievi mesozoici (versante NW del M. Nerone e Corno di Catria) o in zone di più intense sollecitazioni (M. Acuto). Vario ne è l'orientamento con tutte le direzioni intermedie da longitudinali a trasversali e vario ne è il carattere (a gradinata, Blätter, ecc.). Queste faglie hanno individuato blocchi, embrici, cunei vari per forma, dimensioni e orientamento di calcare massiccio nelle zone di maggiore distrofismo deformando in modo notevole talora addirittura cancellando le anticlinali primitive (1).
Da quanto si è finora esposto si può concludere: in un primo tempo il calcare massiccio si è deformato in ampie e dolci pieghe più o meno asimmetriche con leggera vergenza verso NE; in un secondo tempo per le più forti compressioni ogni grande anticlinale si è rotta fondamentalmente in un grande embrice tettonico (2), mediante faglie marginali oblique, il quale ha parzialmente sfondato la serie stratigrafica sovrastante e subito una limitata deriva verso NE con tendenza ad accavallarsi sull'embrice contigui sottoposto; embrici tettonici minori, faglie varie della cerniera e delle terminazioni delle anticlinali, ecc. complicano il quadro strutturale fondamentale.
È poi importante notare che piegamento e fagliatura (con l'embriciamento concomitante) non rappresentano due momenti di una sola fase diastrofica, ma bensì due fasi nettamente distinte nel tempo. Lo dimostra l'indipendenza frequente fra faglie e pieghe e vari fatti stratigrafici, che richiamerò più avanti; come pure rimando alle pagine seguenti la datazione di queste due fasi orogenetiche.

(1) Ho parlato più volte di cunei, ma non vorrei essere frainteso con questo termine. Recentemente si è infatti cercato di interpretare il raccorciamento delle regioni a faglie e talora anche le pieghe stesse secondo l'ipotesi di grandi "cunei composti" (MIGLIORINI, Boll. Soc. Geol. It., LXVII, 1948). Nel nostro caso una tale interpretazione non è applicabile e i cunei che ho nominato nella esposizione, con l'apice ora verso l'alto ora verso il basso e con inclinazioni varie, ma più spesso subverticali, sono dei motivi strutturali locali e del tutto secondari rispetto ai grandi embrici tettonici.
(2) Si tenga presente che questi embrici tettonici sono grandi per dimensioni, ma con spostamento orizzontale relativamente modesto.



Fin qui mi sono riferito al calcare massiccio che essendo stato l'attore principale dell'assetto strutturale meglio si presta alla ricostruzione tettonica. I terreni sovrastanti data la loro plasticità (marne e Fucoidi, scaglia cinerea) o più o meno facile deformabilità (corniola, Strati ad Aptici, calcare rupestre, scaglia rossa) si sono semplicemente adattati in vario modo all'assetto strutturale profondo determinando strutture superficiali caratteristiche e spesso complesse durante la seconda fase diastrofica corrispondente all'embriciatura del massiccio.
La pietra corniola sia per la limitata deformabilità sia perché direttamente sovrapposta al massiccio ha generalmente seguito fedelmente (salvo in prossimità delle faglie maggiori) questo nelle sue vicende. Le marne e i calcari rossi del Lias superiore e i calcari lastroidi ad Aptici avendo spesso una vera e propria plasticità in grande, hanno subito frequenti assottigliamenti, raddrizzamenti ed elisioni. Il calcare rupestre si è mantenuto concordante con le masse sottostanti sulle anticlinali (a meno che non siano presenti forti disturbi secondari); sui fianchi di queste invece e presso le faglie ha subito frequenti arricciamenti secondari di compressione (Gorgo a Cerbara), assottigliamenti; ecc.; la facies senza stratificazioni del rupestre invece ha avuto il comportamento di massa rigida. Infine le marne a Fucoidi, nettamente plastiche, sono state la sede normale delle grandi faglie marginali, facilitando il movimento e finendo con lo sparire nelle zone di più intenso scorrimento. Le faglie maggiori che solcano il massiccio si continuano anche attraverso tutti questi terreni in modo più o meno netto e marcato, le minori invece passano gradualmente a flessure e ginocchiature, o addirittura si perdono.

La scaglia rossa e cinerea per la sua facile deformabilità o plasticità e per lo scarso ancoraggio ai complessi più rigidi sottostanti, data l'interposizione delle marne a Fucoidi, ha avuto un comportamento particolare. Sul fianco SW dei rilievi la scaglia, anche se spesso molto raddrizzata, ha mantenuto una giacitura tranquilla. Sui rilievi meno disturbati (Montiego; Furlo ecc.) ha una stratificazione calma e concordante con le rocce sottostanti; su quelli più disturbati ha invece subito scollamenti dal substrato (M. Nerone, la Montagnola) deformandosi in pieghe varie di compressione di ritorno. Normale è invece la presenza sul fianco NE di tutti i rilievi di strutture secondarie nella scaglia in corrispondenza della faglia inversa profonda; gli effetti più frequenti sono: una forte ginocchiatura, una frequente e minuta pieghettatura, un ispessimento e un rovesciamento (o anche un semplice raddrizzamento) sopra la sinclinale più esterna; nelle zone di più intensa compressione si ha anche un marcato rovesciamento della sinclinale contigua con nucleo in scaglia cinerea o Miocene (sinclinali Piobbico-Secchiano, Cantiano-Chiaserna, Orsaiola-Cagli, ecc.) e talora veri e propri accavallamenti di scaglia rossa sopra la cinerea (la Bandirola presso Cagli). Son tutte queste delle strutture di compressione determinatesi alla fronte dei grandi embrici profondi in seguito allo scollamento della scaglia rispetto al suo substrato. La gravità favorita da mancanza di carico sufficiente (per la vicinanza dell'antica superficie topografica) ha determinato o contribuito a determinare molte strutture complesse locali, in conseguenza del sollevamento per piega o per faglia e forse può anche aver contribuito all'affiorare della scaglia durante le fasi diastrofiche. Fra le varie strutture gravitative si possono ricordare i contorcimenti della scaglia alla cima del M. Nerone, la sinclinale della vetta di q. 1430 (M. Nerone) e pieghettamenti vari su alcuni fianchi dei rilievi mesozoici.

Si può così dire: le due fasi diastrofiche riconosciute nel massiccio (piegamento e fagliatura) non sono generalmente distinguibili nelle rocce sovrastanti, avendo la seconda cancellato per larghi tratti la prima; il piegamento sia nel massiccio sia nelle formazioni sovrastanti si svolse regolare mantenendo la concordanza strutturale; la fedeltà maggiore o minore con cui le formazioni giuresi-cretaceo-paleogeniche hanno seguito la tettonica profonda durante la seconda fase diastrofica è in funzione della loro distanza stratigrafica dal tetto del massiccio della loro deformabilità e dell'entità delle dislocazioni; la scaglia ha avuto la massima indipendenza dall'assetto profondo e per il suo scollamento non è probabilmente rimasta strizzata che in minima parte fra i grandi embrici profondi, ma solo compressa alla fronte di questi.
Le osservazioni e deduzioni fatte finora si riferiscono essenzialmente ai rilievi mesozoici interni (M. Petria-M. Cucco, M. Nerone-M. Catria, M. Roma-M. della Strega, Montiego, Abbadia di Naro); fra questi e i rilievi mesozoici esterni (Acqualagna, Furlo, Cesana) esistono alcune differenze. I primi si trovano fra loro addossati e compressi (1), i secondi invece più

(1) In realtà questi rilievi mesozoici interni costituiscono un unico ed enorme elemento strutturale e sono fra loro separati da faglie inverse. Cioè, quando, come in questo caso, le anticlinali sono molto ravvicinate la grande faglia marginale diretta si trova sul fianco SW dell'anticlinale più sudoccidentale.


isolati e distaccati; la seconda fase diastrofica ha avuto sui primi un effetto più cospicuo che sui secondi. Anche però nei rilievi mesozoici esterni è possibile rintracciare lo stesso stile tettonico descritto, anche se più attenuato (v. pag 60).