PARTE II - CAPITOLO III
ZOLFO
4. Prospettive solfifere della regione
Dopo quanto ho esposto finora viene spontaneo chiedersi se nella nostra regione esistono ancora o meno possibilità per una ripresa delle ricerche e dell'industria solfifera. Il compito si presenta arduo in quanto ci mancano i criteri essenziali di orientamento e ancor oggi le ricerche sono guidate solo da quanto si può osservare in superficie (tracce di zolfo, briscale, calcare, sorgenti solfidriche, ecc.). Ad ogni modo malgrado la difficoltà del problema, cerchiamo di affrontarlo intrattenendoci anzitutto su alcune questioni generali.
Generalmente si dice che l'ostacolo a una condotta razionale delle ricerche sia rappresentato dalla incertezza notevole che regna tuttora circa l'origine dello zolfo.
Come è ben noto il problema è stato preso in considerazione da molto geologi, mineralogisti e ingegneri minerari e sono state emesse decine di ipotesi svariate, che però, tralasciando quelle ormai superate relative a un'origine idrotermale o pneumatolitica, si possono ricondurre essenzialmente a due. Cioè lo zolfo si sarebbe formato per processi puramente inorganici per riduzione dei gessi e quindi sarebbe generalmente "epigenetico"; oppure lo zolfo sarebbe derivato da azioni batteriche contemporanee al deposito delle rocce e sarebbe "singenetico" (1).
Ma a parte il numero eccessivo e i contrasti fra le varie ipotesi non credo che qualora fosse anche risolto il problema genetico se ne possano ricavare dei dati di orientamento pratico molto importanti. Penso invece che, indipendentemente da quella che possa essere l'origine del nostro minerale, sia possibile intravedere, sia pure in senso molto largo, dei rapporti fra aree mineralizzate e caratteri stratigrafici e tettonici della formazione gessoso-solfifera. Sarei d'avviso perciò che ricerche geologiche dettagliate e accurate, anche con l'ausilio dei metodi petrografici, possano dare alla ricerca degli orientamenti sia pur generici ma comunque assai più utili (2).
(1) Non ho nessuna intenzione di fare qui un esame critico delle varie teorie proposte, in quanto ciò occuperebbe uno spazio eccessivo ed esulerebbe dal nostro argomento. Qui vorrei solo osservare che se lo zolfo ha preso origine dalla riduzione del gesso ad opera degli idrocarburi, questi, nella nostra regione, non possono essere venuti nel Messiniano da terreni molto più profondi a seguito di una grande migrazione regionale. Come ho detto altrove (218) le impregnazioni bituminose del nostro Messiniano, hanno nel Messiniano medesimo le loro rocce madri o per lo meno non vi sono per ora argomenti per affermare il contrario. È noto invece che tali migrazioni regionali sono state sostenute con validi argomenti per altre regioni d'Italia.(2) È in fin dei conti quanto avviene per la geologia del petrolio; che presenta con questa nostra dello zolfo qualche cosa in comune. Infatti la questione della genesi del petrolio, che tanto ha affaticato i geologi fino a poco più di un decennio fa, ha un interesse pratico secondario, per quanto si siano già acquisiti notevoli risultati sicuri e si abbia un quadro generale abbastanza soddisfacente. Vi sono invece criteri immediato (permeabilità, coperture, strutture, ecc.) e più lontani, caratteri dei bacini sedimentari, storia tettonica e paleografica, ecc.), che sono di guida assai più preziosa ed importante per il ritrovamento dei giacimenti.
Credo ora necessario mettere in evidenza un fatto. È noto che nella nostra come in tutte le altre regioni solfifere sono presenti due tipi fondamentali di minerale: lo zolfo amorfo cosiddetto "saponaceo" distribuito in noduli e lenticelle generalmente entro le marne, ma spesso anche entro i calcari e i gessi, e lo zolfo cristallino diffuso o concentrato talora anche in masse molto pure entro il calcare e talora anche nel gesso o altre rocce. Questo secondo, che come è noto forma i giacimenti utili non rappresenta solo una semplice modificazione del primo ma anche un materiale che ha subito dei movimenti talora non indifferenti prima di raggiungere la sua sede definitiva; lo vediamo infatti concentrato lungo diaclasi, brecce di faglie, ecc. nelle quali non è potuto pervenire se non per migrazione.
Penso perciò che pur avendo avuto sia lo zolfo amorfo sia quello cristallino la medesima origine primitiva, il secondo abbia subito in più dei processi diagenetici di concentrazione, Cioè anche per il nostro minerale si potrebbe parlare di due ordini distinti di problemi: quelli della genesi e quella della concentrazione.
A parte quelli che possano essere stati i processi genetici veri e propri, mi sembra che, esclusi per la nostra regione degli agenti esterni al Messiniano (idrocarburi di origine profonda), i fattori che hanno generato lo zolfo debbano aver trovato nel Messiniano stesso gli ambienti adatti al loro sviluppo; vi dovrebbe quindi essere un rapporto fra distribuzione delle mineralizzazioni e caratteri stratigrafici e paleoambientali della formazione gessoso-solfifera (1). Se la concentrazione del minerale esiste, come mi sembra evidente, essa dovrebbe essere in connessione con i fatti tettonici. A mio modo di vedere perciò vi potrebbe essere solo discussione su quale dei due fattori, stratigrafia e tettonica, possa aver avuto maggior peso nella formazione dei giacimenti utili; personalmente penso piuttosto al primo, ma non credo si possa disconoscere l'importanza di entrambi.
Così impostato il problema e tenendo conto di quanto oggi conosciamo sul Messiniano metaurense possiamo ulteriormente sviluppare questi concetti generali. Infatti per la nostra regione si potrebbe pervenire a queste conclusioni (1):
- le mineralizzazioni solfifere sono assai più frequenti ed importanti negli antichi bacini messiniani che ebbero moderate comunicazioni col mare aperto (tipico esempio è il bacino di Cà Bernardi);
- sia in questi bacini con i margini in buona parte emersi durante il Messiniano (sinclinali interne della catena marchigiana) sia in quelli con gli orli semplicemente sollevati ma non, o solo in parte, affioranti dal mare sopramiocenico (sinclinali dell'avanfossa), le mineralizzazioni sono accantonate o in prossimità delle antiche coste o sui bassifondi (ad es. Cà Bernardi, S. Lorenzo in Zolfinelli e quasi tutte le ricerche lo dimostrano). Quando si ha corrispondenza fra antichi bacini subsidenti e sinclinali attuali (cosa frequente nella nostra regione) ciò equivale anche a dire che lo strato si isterilisce approfondendosi nella sinclinale.
- al margine degli antichi mari aperti le mineralizzazioni sono assai più ridotte che non all'orlo dei bacini più o meno interni (si veda ad es. la formazione gessoso-solfifera fra Isola di Fano e il Misa, nei dintorni di Sinigaglia e Ancona, ecc).
- sempre era necessaria una sedimentazione tranquilla e sottile (cioè evaporitica e argilloso-marnosa) priva o quasi di apporti detritici grossolani (si vedano i caratteri del tutto negativi della formazione gessoso-solfifera nella zona litoranea, in gran parte della sinclinale Tarugo-S; Stefano, nella sinclinale M. Vicino-M. Picognola, nel Maceratese, ecc.);
- assai frequente è la concentrazione del minerale in corrispondenza di faglie o diaclasi (Perticara), di pieghette compresse secondarie, di fianchi raddrizzati (Cà Bernardi) ecc. Ma sono soprattutto le diaclasi cioè le comminute reti di fratture che hanno favorito la concentrazione.
Ora possiamo pervenire ad alcune conclusioni pratiche per la nostra regione e per quelle immediatamente contermini (1).
Anzitutto dobbiamo escludere per una ricerca tutta la zona che si trova ad oriente all'incirca della spezzata seguente: Mondaino-S. Angelo in Lizzola-Orciano-M. S. Angelo (a SE di Isola di Fano)-Colle Aprico-Serra dei Conti-fiume Esino 2-3 km a valle delle Moie. In tutta questa ampia area il Messiniano si è depositato o in mare aperto talora profondo o con notevoli apporti terrigeni; oppure la formazione gessoso-solfifera si presenta ridottissima (fra Isola di Fano e il Misa).
Per quanto si riferisce alla restante avanfossa marchigiana cioè alla zona a NE della dorsale M. Spadaro-Furlo-Arcevia-S. Vicino si possono prendere in considerazione queste tre aree che corrispondono almeno in parte a tre grandi bacini subsidenti sopramiocenici:
- orlo NE del rilievo anticlinalico di Colbordolo-M. S. Bartolo-Vergineto. In questo tratto malgrado i modesti ritrovamenti di Talacchio, Pozzuolo, Tombolina, la formazione presenta caratteri stratigrafici poco attraenti perché invece di aversi un vero calcare mineralizzato si ha piuttosto un calcare marnoso o una marna calcarea a basso tenore (quasi sempre inferiore al 10%) e a spessore ridotto (non più di m 1-1,5). In qualche tratto fra Arzilla e Metauro potrebbe farsi affidamenti sui forti disturbi tettonici, ma è evidente che questi da soli non sono sufficienti.
- Orli della sinclinale Montecalvo in Foglia-Isola del Piano-Reforzate, escludendo il fondo della sinclinale a NW di Isola del Piano, perché troppo ampia e profonda. In questa zona l'unico ritrovamento cui poté seguire uno sfruttamento industriale fu quello di S. Lorenzo in Zolfinelli-Cavallino; esaurito questo giacimento, le altre numerose ricerche condotte anche di recente non hanno dato luogo a ritrovamenti degni di interesse trattandosi sempre o di marne sparse con noduli sparsi "saponacei" o al più di calcare marnoso a basso tenore.
(1) Quando il termine lavoro era già stato licenziato per la stampa si andavano sviluppando nella regione marchigiana numerose ed intense ricerche da parte della Soc. Montecatini e dell'Ente Zolfi Italiani. Per quanto tali lavori non siano ancora ultimati, le conclusioni cui qui accenno sono state rifatte anche tenendo conto di questi nuovi dati. Ad ogni modo non si tratta di conclusioni definitive, le quali potranno trarsi solo all'ultimazione delle ricerche.
- Zona compresa fra il rilievo di Arcevia-S; Vicino e le anticlinali di Serra dei Conti-Staffolo e di Cingoli. Qui i dati geologici non sono ancora completi e le ricerche sono state minime, però da vari elementi stratigrafici, paleogeografici e tettonici vi sono buone possibilità di ritrovamenti.
Veniamo ora alle sinclinali interne della catena marchigiana. Come si è detto, la grande sinclinale Tarugo-S. Stefano per il grande sviluppo delle serie molassiche presenta un interesse molto ridotto; ad ogni modo sono ancora in corso ricerche nei punti meno sfavorevoli. Ormai esaurito il grande giacimento di Cà Bernardi, restano solo la sinclinale di M. Aiate e il bacino di Urbania. La prima ha una piccola estensione e dalle vecchie ricerche e dalle nuove lascia ben poco a sperare. Invece può ancora presentare delle sorprese liete il bacino di Urbania specie nella sua parte nordorientale.
In definitiva perciò possiamo così concludere: allo stato attuale delle nostre conoscenze la regione compresa fra il Foglia e l'Esino presenta ancora in qualche punto un interesse pratico per la ricerca solfifera e a tal riguardo si possono ricordare due aree, il bacino di Urbania e la zona compresa fra il rilievo di Arcevia-S. Vicino e l'anticlinale di Serra dei Conti-Staffolo. Alcune zone dell'avanfossa (sinclinale di Montecalvo in Foglia-Reforzate e orlo NE del rilievo Colbordolo-Vergineto) possono solo permettere ritrovamenti di modesti spessori di minerale a basso tenore; non è però improbabile che esaurendosi le riserve migliori del nostro paese e trovandosi nuovi trattamenti per l'utilizzazione dei minerali solfiferi poveri anche queste zone possono in futuro suscitare un rinnovato interesse.