PARTE V
COMBUSTIBILI FOSSILI
CAPITOLO III
PROSPETTIVE GASSIFERE E PETROLIFERE DELLE MARCHE SETTENTRIONALI
6. Possibilità di accumuli nelle Marche settentrionali
Dopo questo sguardo d'insieme e con i molti altri elementi esposti precedentemente possiamo ora esaminare quali e dove siano le possibilità di ricerca per idrocarburi nelle Marche settentrionali. Si è già stabilito (paragrafo 4 di questo capitolo) che la serie tortoniana-messiniana-pliocenica presenta il maggior interesse pratico immediato; cerchiamo qui di individuare le zone di probabili accumuli, cioè dove detta serie si trova con le sue permeabilità e con le coperture in anticlinali o altri tipi di chiusure non erose.
La formazione marnoso-arenacea umbra (1° unità strutturale), per quanto comprenda anche il Tortoniano sabbioso-arenaceo, è priva di interesse, almeno allo stato attuale delle conoscenze, perchè manca di coperture impermeabili.
Anche nel Tortoniano e Messiniano delle sinclinali interne della catena (2° unità strutturale) si può escludere la possibilità di adunamenti, in quanto questi terreni occupano solo il fondo delle sinclinali e sono privi di una copertura efficiente (il Pliocene è sempre assente). Anche eventuali chiusure laterali stratigrafiche determinate dalle intercalazioni argillose sui fianchi di queste sinclinali non possono aver interesse perchè, a parte la limitata estensione della superficie eventualmente drenata, tutti i terreni porosi sono stati ampiamente dilavati e invasi dalle acque superficiali. Si può quindi concludere che tutta la regione marchigiana a SW del rilievo Furlo-S. Vicino-Sibillini non ha importanza pratica per una ricerca di idrocarburi nel Neogene.
Si presentano invece notevoli prospettive nella serie tortoniana-messiniana-pliocenica dell'avanfossa (3° unità strutturale). La presenza qui di bacini di sedimentazione neogenici con i caratteri noti (persistenza di sedimentazione, subsidenza, plicazioni tarde, assenza di trasgressioni cospicue, ecc.) è già di per sè un elemento del massimo interesse. È però necessario un esame più dettagliato, che come al solito limiteremo alla regione fra il Foglia e Recanati.
Fra il Foglia e il Metauro si stende la cosiddetta della Furlo-Novilara, dove si ripetono le condizioni negative già viste per la catena mesozoica. Infatti tutte le anticlinali sono prive di copertura e molto erose e hanno il nucleo affiorante nel Messiniano o in terreni più antichi. Resterebbe perciò anche qui come unica possibilità la presenza di chiusura stratigrafica sui fianchi delle sinclinali, alcune delle quali, come quelle di Montecalvo in Foglia-Isola del Piano-Ponte degli Alberi e Tomba di Pesaro-M. delle Forche, avrebbero forse sufficienti coperture argillose. Neppure queste però offrono sufficienti garanzie.
A S dell'asse vallivo del Metauro si stende il bacino di sedimentazione nordmarchigiano dove abbiamo tre possibilità per la ricerca:
- entro le pieghe a nucleo affiorante eopliocenico;
- sui fianchi delle pieghe precedenti;
- al disotto della estesa copertura argillosa meso e soprapliocenica;
La prima possibilità si verifica nel prolungamento a SE del Metauro del rilievo Colbordolo-Vergineto (che per ondulazioni assiali potrebbe anche offrire chiusure strutturali), nel tratto settentrionale dell'anticlinale S. Costanzo-Scapezzano e nelle pieghe di Montecarotto-Staffolo e di Polverigi. In tutte queste le eventuali coperture sono affidate a priori limitati accumuli di gas.
Sui fianchi di queste pieghe si ha la protezione del Pliocene inf. e medio argillosi. Si presenta perciò l'eventualità di accumuli sia pur modesti o per chiusure stratigrafiche (variazioni laterali di facies) o strutturali (ondulazioni secondarie dei fianchi, faglie longitudinali).
Fra le pieghe nominate si stende ininterrotto il Pliocene medio argilloso e per un buon tratto anche il Pliocene superiore pure argilloso (pag. 37), che come ho detto costituiscono le coperture più efficienti. È proprio qui che una ricerca ha le prospettive migliori in quanto è più che probabile (e vari indizi lo confermano) il ritrovamento di pieghe chiuse ben protette con buone possibilità di accumuli d'idrocarburi. La zona di interesse pratico è all'incirca così delimitata: costa adriatica a S di Numana-Numana-Polverigi-S. Angelo (a NW di S. Costanzo)-Montemaggiore al Metauro-Sorbolongo-Barbara-S. Paolo di Jesi-Treia-Loro Piceno; quindi si estende ampiamente nell'Ascolano fra la costa e la congiungente Loro Piceno-Maltignano sul Tronto. Entro questi limiti però dobbiamo ritenere di modesto valore la porzione compresa fra il Metauro e il Cesano per il generale andamento strutturale con progressivo sollevamento verso NW.
La zona così definita presenta ottimi requisiti per una ricerca entro il Neogene soprattutto per le cospicue coperture e il favorevole assetto tettonico. Gli orizzonti nei quali possono verificarsi gli adunamenti di idrocarburi sono quelli del Tortoniano sup. e del Messiniano e quelli del Pliocene medio e della parte alta del Pliocene inf.; le altre intercalazioni sabbiose della serie pliocenica hanno un interesse secondario. Tenendo conto che le permeabilità tendono a diminuire da occidente verso oriente, le anticlinali più interne saranno le più propizie anche perchè meno profonde. Le emersioni avvenute fra Pliocene inf. e medio possono aver avuto un effetto negativo, come si è detto, sui rilievi costieri. Oltre alle chiusure puramente strutturali devono giuocare un ruolo fondamentale anche quelle stratigrafiche date le numerose variazioni laterali di facies. A tal proposito si deve ricordare che i frequenti passaggi laterali fra argille e sabbie rendono complessa la ricerca in tutto il Neogene marchigiano, ma se nella zona in questione rappresentano un motivo di difficoltà e di maggior dispendio per l'individuazione dei giacimenti, nelle altre zone di ricerca indicate più sopra (v. pag. 183) rappresentano il fattore positivo preminente per le possibilità di accumuli.
Nelle Marche, oltre al Neogene, si presentano anche due altri temi di ricerca e cioè il Mesozoico e il bacino periadriatico. Del primo ho già accennato in precedenza (pag. 177) vediamo perciò rapidamente il secondo.
Esso si estende entro mare all'esterno dei rilievi costieri (Cattolica-Fano, S. Costanzo-Scapezzano, Ancona, Conero, ecc.) forse con una larghezza media di 25-30 km. La ricerca diretta mediante perforazioni è possibile, non trovandosi mai la zona indiziata a profondità superiori ai 50 m in un mare non soggetto a grandi tempeste e a forti maree. Questo bacino presenta prospettive quanto mai interessanti. Anzitutto siamo certi di ottime coperture da parte del Pliocene medio-sup. e del Quaternario. Le porosità e permeabilità nei terreni sottostanti sono supponibili buone specialmente per il Tortoniano, Messiniano e Pliocene inf., data l'abrasione intensa che avrebbero subito i rilievi cristallini dell'avampaese; per la stessa ragione orizzonti permeabili sono prevedibili anche in orizzonti più antichi. Inoltre è possibile la presenza di termini calcareo-organogeni nel Cretaceo sup. (di cui il Conero offrirebbe un piccolo esempio) e anche in altri piani più antichi o più recenti. Le oscillazioni di tipo epirogenetico dell'avampaese oltre a questi fenomeni potrebbero aver determinato anche "trappole" ad opera delle trasgressioni marginali connesse. in altri termini potrebbero presentarsi anche condizioni migliori di quelle note in terraferma.
Non bisogna però dimenticare che una ricerca entro il bacino periadriatico è dispendiosa e prematura. Ad ogni modo frattanto una ricerca geofisica, eventualmente aeromagnetometrica o gravimetrica, potrebbe darci degli elementi assai importanti anche per le ricerche in terraferma.