PARTE I - CAPITOLO I
LA SERIE DEI TERRENI
14. Miocene inferiore e medio a facies marchigiana
Come ho già detto più sopra questa facies si estende ad oriente dei rilievi mesozoici del Montoego e del Catria-Nerone e più precisamente nei bacini interni della catena e nell'avanfossa adriatica (v. pag.177); essa è inoltre caratterizzata dal tipico sviluppo marnoso.
Anche qui alla base della serie miocenica e in continuità con la scaglia cinerea, compare il Bisciaro, con caratteri analoghi a quelli visti più sopra. Infatti anche qui la formazione è costituita da un'alternanza ben stratificata di marne grigiastre e calcari marnosi; questi ultimi contengono spesso silicizzazioni diffuse o concentrate in noduli nerastri e sono compatti e di color grigio o bruniccio. Talora si osservano anche intercalazioni tripolacee: così al Molino di Ponte del Sasso sul Tarugo.
Il Bisciaro descritto ha una buona resistenza agli agenti meteorici ed è infatti facilmente riconoscibile anche a distanza per le pareti ripide e scoscese cui spesso dà luogo; esso è tipicamente sviluppato fra Metauro e Cesano, all'orlo N della Cesana, ecc. Nell'Urbinate ha invece talora minora resistenza agli agenti atmosferici, dà infatti luogo a un minuto sfatticcio a spigoli vivi, e caratteri un po' diversi. Malgrado le modeste variazioni il complesso in questione è però ben distinguibile dalle formazioni a contatto per il suo più elevato contenuto calcareo. Il Bisciaro affiora sui fianchi dei rilievi mesozoici e nelle sinclinali interposte e nel nucleo di varie anticlinali esterne.
È assai interessante notare che nella parte media e inferiore del Bisciaro si intercalano degli strati di sabbia vulcanica. Si tratta di una sabbia costituita essenzialmente da elementi vetrosi, pomicei, a spigoli vivi e di minutissime dimensioni (per la grande maggioranza inferiori a mm 0,7 di diametro); subordinati del tutto sono i granuli birifrangenti (quarzo, feldspati, miche, calcite). Il contenuto argilloso-marnoso è sempre sensibile e spesso assai elevato; inoltre i livelli di sabbia vulcanica non hanno in genere limiti netti ma sfumano gradualmente nelle marne contigue. Il colore della roccia è biancastro; grigiastro o bruniccio; la compattezza è per lo più bassa, essendo il cemento argilloso-marnoso.
Vario è il numero di livelli a sabbia vulcanica; in certi casi sembra avvicinarsi alla decina separati da alcuni metri di Bisciaro; lo spessore dei singoli stati, dati i loro limiti indecisi, non è facile da stabilire, oscilla ad ogni modo fra qualche decimetro e il metro.
La diffusione di queste sabbie vulcaniche entro il Bisciaro è notevolissima. Le ho infatti rinvenute nell'Urbinate, nei dintorni di Isola del Piano, di Fossombrone, Pergola, Arcevia, ecc. e più a S fin oltre l'Esino. Si può dire cioè che esse siano presenti almeno in tutta la porzione interna dell'avanfossa marchigiana compresa fra il Foglia e l'Esino (1).
Poco si può dire per ora circa l'origine di queste sabbie. Evidentemente esse furono prodotte da esplosioni vulcaniche langhiane e quindi trasportate da grande distanza ad opera del vento entro il mare miocenico marchigiano. Sono però necessarie ulteriori ricerche sul terreno e in laboratorio per avere qualche indizio circa la probabile posizione di questo antico centro eruttivo.
Il Bisciaro passa gradualmente verso l'alto a una formazione marnosa, cui sia nelle Marche sia nell'Appennino settentrionale si dà il nome di Schlier, per l'analogia litologica con certe rocce mioceniche del bacino di Vienna (1). Sono marne di varia consistenza però con contenuto argilloso generalmente aumentate verso l'alto della serie e sempre facilmente attaccabili dagli agenti atmosferici, soprattutto per gelività. Il colore è biancastro nella parte inferiore e media del complesso, prevalentemente grigiastro in quella superiore. La frattura è spesso concoide e la stratificazione è assai poco netta e solo segnata dal diverso contenuto calcareo. Il limite inferiore dello Schlier è convenzionale ma sempre ben riconoscibile e basato essenzialmente sulla minore resistenza e compattezza della formazione rispetto al Bisciaro sottostante. Entro lo Schlier della nostra regione si rinvengono spesso sottili orizzonti di argille smectiche, cui dirò in seguito (pag. 152). Il complesso stratigrafico in questione affiora ampiamente nella vallata del Metauro e in quelle contermini; oltre ai lembi già noti ne devo ricordare uno lungo oltre 7 chilometri stendentesi fra Novilara e Cuccurano, sfuggito ai precedenti rilevatori.
Fra il Cesano e il Metauro e a NW di quest'ultimi fra il M. della Cesana e il mare ho trovato in media per il Bisciaro uno spessore di 90 m e per lo Schlier spessori oscillanti fra i 290 e 330 m (più spesso 300 m circa). Tali valori si possono considerare esatti derivando da un gran numero di misure. Solo ne bacino di Urbania la potenza della Schlier pare ridursi sui 200 m (V. nota alla pagina seguente).
Anche il Miocene a facies marchigiana è assai povero di macrofossili. Entro il Bisciaro è stata rinvenuta l'Ostrea langhiana Trab. nei dintorni di Urbino (M. Spadaro) e Urbania (Orsaiola) e forse l'Amphistyegina niasi Verb. ancora nei pressi di Urbino (139, 140). Provengono invece dallo Schlier. Carcharodon megalodon Ag. da Farneto presso Acqualagna, Pholadomya canavarii Sim e Ph. cf. margaritacea Sow. da Colbacchione (Cagli) (121). Solo probabile è invece la provenienza dallo Schlier dei seguenti fossili (2): Toxopagus italicus Manz. e Mazz., Lima strigilata Br., Aturia aturi Bast. e Oxhyrina hastalis Ag. dei dintorni di Serra S; Abbondio, Flabellum vaticani Ponzi, Vaginella calandrellii Mich. e Balantium carinatum dei dintorni di Urbino.
Nello Schlier dei dintorni di Isola di Fano ho rinvenuto Ostrea cochlar Poli inoltre da quello di numerose località (Tarugo, Urbania, Urbino, Isola del Piano, Montegaudio, Coldelce, Cuccurano, ecc.) ho isolato numerose e ricche microfaune.
È così possibile, con i macro e i microfossili, dedurre un'età langhiana per il Bisciaro e mediante i Foraminiferi stabilire la presenza dell'Elveziano e del Tortoniano nello Schlier (1). Però il limite fra questi due ultimi piani, essendo puramente paleontologico non è riconoscibile sul terreno; solo nella valle del Tarugo e in quelle vicine del Cesano e del Misa ma porzione più alta ed essenzialmente tortoniana dello Schlier ha un contenuto argilloso più elevato che altrove e una tinta più marcatamente grigio-azzurrastra. Questa facies che nelle vallate citate è continua e sempre presente è però legata da passaggi gradualissimi e lenti con lo Schlier tipico sottostante.
Allo Schlier succedono verso l'alto le formazioni di letto dell'orizzonte gessoso-solfifero. Di tali formazioni, assai varie per composizione litologica e spessore, ci occuperemo in dettaglio più avanti (pag. 93). Qui basti dire che in questi terreni possiamo distinguere due sviluppi diversi: uno quasi esclusivamente argilloso-marnoso, un altro marnoso-molassico (molasse inferiori), fra loro legati da graduali passaggi laterali.
La facies argilloso-marnosa compare fra Mondaino e S. Giorgio di Pesaro, nelle sinclinali di Cà Bernardi, M. Aiate e Serraspinosa e al margine esterno del rilievo di Arcevia a S del Cesano. In queste zone allo Schlier alto già fortemente argilloso succedono argille marnose verdastre con numerose intercalazioni bituminose; lo spessore complessivo oscilla fra i 35 e i 60 m a seconda delle zone.
In quasi tutto il resto della nostra regione, allo Schlier segue verso l'alto una alternanza di argille marnose e molasse, dove il contenuto molassico aumenta progressivamente da SE verso NW tanto che in sinistra del Metauro le molasse diventano prevalenti; insieme al contenuto molassico aumenta notevolmente anche lo spessore delle serie. Questi progressivi passaggi laterali si osservano molto bene al margine esterno del rilievo Furlo-Arcevia fra il
Cesano e il Metauro (1). LA potenza della facies marnoso-molassica oscilla fra i 70-80 m (Isola di Fano) e i 350 m (Lunano).
Questi terreni argillosi, marnosi e molassici compresi fra lo Schlier e la formazione gessoso-solfifera sono normalmente attribuiti, sulla carta geologica ufficiale, al Messiniano; Lo studio di parecchie centinaia di microfaune mi ha invece dimostrato che essi appartengono per buona parte ancora al Tortoniano; solo la porzione più elevata (talora solo qualche metro o poche decine di metri) della serie è del Messiniano (per altri elementi cfr. anche il paragrafo seguente e pag.93).
Per l'età, spessore e distribuzione dei terreni mesomiocenici a facies marchigiana si vedano le Tavv. I, III e IV (figg 1 e 2).
Una importante questione di geologia regionale verte su rapporti che intercorrono fra le facies umbra e marchigiana, cioè in definitiva fra la formazione marnoso-arenacea s.s. e lo Schlier. Le due facies mesomioceniche sono legate fra loro da passaggi laterali piuttosto rapidi, che devono essere osservabili ( non ho condotto ricerche particolareggiate nella zona) solo sul prolungamento nordoccidentale dell'anticlinale del Montoego, ossia nel quadrilatero compreso all'incirca fra S. Angelo in Vado; S. Giovanni in Petra, Frontino e S. Sisto. Infatti mentre a S. Angelo in Vado e in tutta la regione a SW la formazione marnoso-arenacea ha il suo potente e completo sviluppo, fra S. Giovanni in Petra e Frontino e più a NE tutto l'Elveziano è rappresentato dallo Schlier. Del resto anche PRINCIPI (140) accenna a transazioni fra le due facies nella zona di Sorbetolo. Per spiegare questo rapido passaggio laterale di due facies così ben distinte ed estesamente diffuse, penso che durante l'Elveziano esistessero fondali bassi, se non addirittura aree in emersione, in corrispondenza degli attuali rilievi mesozoici interni e più a NW, capaci di impedire, a mo' di diga, che i detriti terrigeni d'origine umbra invadessero l'area di sedimentazione marchigiana.