'Il bacino del Metauro', di Raimondo Selli

Raimondo Selli

IL BACINO DEL METAURO
Descrizione geologica - Risorse minerarie - Idrogeologia

Edizione elettronica del volume edito nel 1954

PARTE I - CAPITOLO III
STORIA GEOLOGICA DELLA REGIONE

La sintesi che presento è basata sui dati esposti nei capitoli precedenti, su quelli pubblicati degli AA. per le regioni contermini e su molti altri inediti emersi dalle mie ricerche sulle Marche centrali e meridionali e quindi è applicabile oltre che a quella metaurense a gran parte della regione marchigiana.
Durante il Trias superiore, Retico e Lias inferiore (Hettangiano-Sinemuriano s.s.) forse tutta la regione, certamente quella dove affiora il calcare massiccio , era occupata da un mare basso che permetteva le deposizione di sedimenti organogeni calcarei e parzialmente dolomitici. Non è possibile dire se l'accumulo si localizzò, almeno in certi casi, in bioherma o si estese come biostroma (1); la soluzione del problema avrebbe importanza dal punto di vista tettonico, per la predeterminazione (nel primo caso) o meno delle strutture. Vari fatti (assenza o quasi di stratificazione, marmarone brecciato (pag.134) ecc.) fanno supporre l'esistenza di scogliere organogene distinte solo alla fine della sedimentazione del massiccio.

Col Lotharingiano assistiamo a un progressivo abbassamento del fondo marino (2) e al depositarsi della pietra corniola corrispondente a melme calcaree; le scogliere vengono coperte gradualmente dai nuovi sedimenti e la loro ultima esistenza è indicata dai banchi di marmarone brecciato, costituito dai detriti derivanti dagli ultimi spuntoni di scogliera. Però l'esile spessore della corniola selcifera al M. Nerone fa supporre che nella nostra area solo durante lo Charmouthiano siano cessati completamente i residui ambienti di scogliera (217) e si sia avuto ovunque il depositi della pietra corniola. Dalla fine del Lias medio in poi si instaurò un regime di mare aperto e abbastanza profondo su tutta la nostra regione, se si eccettuano forse alcuni punti. Non credo però che, almeno fino al Cretaceo inferiore, la profondità

(1) Biotherma è una scogliera organogena, biostroma sono depositi organogeni stratificati su ampia estensione (v. Cumings, Bull. Geol. Soc. America, 43, 1932, pp. 331-52).
(2) Alcuni interpretarono l'alternanza corniola-marmarone dovuta ad oscillazioni del fondo marino (115, p. 29). A ciò si oppone la lenticolarità del marmarone. Per dettagli v. pag.134 in nota.
(3) Ho già accennato (pag.9) che il Titoniano sembra talora poggiare direttamente sul calcare massiccio senza l'interposizione del Lias medio-sup. e del Dogger. Qualora queste giaciture siano meglio studiate e comprovate si potrebbe pensare che solo col Titoniano si sia avuta la completa copertura delle scogliere. Resta però a vedere se in questi punti la facies organogena sia perdurata fino a tutto il Giura medio, oppure si sia avuta emersione con successiva trasgressione Titoniana oppure si siano verificati dei semplici diastemi.



di questo mare sia stata cospicua (1). Lo dimostrano infatti le notevoli variazioni di spessore e di facies dei terreni giurassici (varia composizione del Toarciano-Aaleniano, passaggi laterali fra gli Strati ad Aptici e calcare litografico e rupestre, varie facies del Titoniano ecc. v. pagg.5-18); tali variazioni risulterebbero ancora più sensibili se anziché limitare il nostro esame alla regione metaurense spingessimo lo sguardo anche alla restante catena marchigiana. Anche alcune giaciture del Titoniano (2) confermano la limitata profondità del nostro mare giurassico (3). Tuttavia dal Lias medio fino a tutto il Titoniano la profondità, senza essere mai stata, come si è detto, cospicua, dovete aumentare; questo aumento però non fu certo uniforme nello spazio e nel tempo, non potendosi escludere degli arresti nell'abbassamento del fondo marino o addirittura nei locali sollevamenti. Solo quando la profondità dell'antico mare diventerà sensibile scompariranno le variazioni laterali di facies e si avranno (Albiano-Oligocene) dei depositi di grande costanza orizzontale e di spessore quasi uniforme per amplissimi tratti.
La notevole riduzione di spessore delle serie giurassiche postsineluriane sui rilievi mesozoici dimostra anche che in corrispondenza di questi si ebbe in via generale un più lento e minore affondamento. Il fatto è assai interessante perché permette di dire che durante il Giura già di precostituivano i principali lineamenti strutturali della regione (217).
Forse neppure durante il Cretaceo inferiore il mare dovette essere molto profondo. Ciò non è indicato tanto dal calcare rupestre tipico (che rappresenta un deposito pelagico) quanto da quel rupestre a stratificazione indistinta e ad aspetto di scogliera, di cui ho parlato (pag.15). Sul significato di quest'ultima facies occorrono però ulteriori ricerche prima di pronunciarsi.

(1) La presenza di selce abbondante e di sole faune planctoniche senza forme bentoniche, non sono elementi sufficienti per affermare, come si fa troppo spesso e come si è fatto anche nel nostro caso, delle notevoli profondità di deposito. Infatti, a parte la successiva concentrazione diagenetica, la silice può derivare da deposito chimico e non biochimico da organismi silicei. Troppi sono poi i fatti che talora possono inibire la vita bentonica (v. ad esempio l'attuale Mar Nero).
(2) Neppure con l'ipotesi di DALY e KUENEN, ripresa da MIGLIORINI (Soc. Tosc. Sc. Nat. Mem. LVI, 1949), delle torbide sottomarine si riesce a spiegare il rapido passaggio di facies. Bisognerebbe pensare infatti a una enorme costanza del processo su una zona estesissima.
(3) Si può ammettere che questa subsidenza (o meglio dire il maggior spessore delle serie al centro che non ai margini delle sinclinali) sia dovuto all'abbassamento del fondo delle sinclinali oppure al progressivo sollevamento dei margini di queste. Entrambi i fenomeni devono essere intervenuti nel nostro caso, ma specialmente il secondo.



Con l'Albiano (marne e Fucoidi) cessano le variazioni laterali di facies e si instaura un mare batiale che persisterà uniforme per tutto il Cretaceo sup., Paleogene e Miocene inferiore determinando sedimenti a grande diffusione e costanza regionale (scaglia rossa e cinerea e Bisciaro). Noto incidentalmente che solo al Conero è noto un innalzamento del fondo marino durante il Cretaceo sup. che portò alla formazione di tipiche facies organogene, alle quali succedettero nuovamente i depositi batiali.
Alla fine del Langhiano compaiono anche nella nostra regione i primi movimenti orogenici, non però ancora localizzati e non determinanti strutture vere e proprie. È necessario infatti ammettere la formazione di un vasto dosso tondeggiante, forse in parte emerso, corrispondente agli attuali rilievi mesozoici interni (Nerone-Catria, Montiego, M. Pietra-M. Cucco; M. Roma-M. della Strega) per spiegare la comparsa nell'Elveziano di due facies ben distinte (l'umbra terrigena e la marchigiana marnosa), le quali non appaiono legate fra loro da passaggi laterali lenti e molto graduali (pag.31). Nella fossa a SW dei rilievi mesozoici interni si andò così depositando, favorito dalla subsidenza, un grande spessore di sedimenti clastici, che costituiranno poi la formazione marnoso-arenacea umbra; questi materiali, provenienti da probabili regioni emerse sulla destra del Tevere attuale, hanno quindi anche il significato di depositi sinorogenetici. A NE del dosso supposto persisteva invece ancora il mare batiale con i sedimenti di Schlier (Tav. IV fig 1).

Con il Tortoniano ebbe inizio la prima fase diastrofica caratterizzata dal dolce piegamento e dall'emergere dei rilievi mesozoici paleogenici. Il mare nell'alto Metauro (fossa umbra v. pag. 177) dovette ridurre la sua estensione, nel medio Metauro per l'individuarsi e già per il parziale emergere dei rilievi di Acqualagna e del Furlo si smembrò, mentre nel basso Metauro si stese ancora ininterrotto. Forse a NE dell'odierna costa Cattolica-Fano entro l'attuale Adriatico può essere avvenuta anche la prima emersione di un rilievo che forniva alimento ai cospicui depositi sabbiosi tortoniani delle colline fra i bassi corsi del Foglia e del Metauro (v. pag.104 e Tav IV fig 2); L'inizio della fase esplicativa durante il Tortoniano è dimostrata soprattutto dal quasi generale intervento sull'area metaurense di sedimenti clastici grossolani sinorogenetici (molasse di letto della formazione gesso-solfifera) provenienti dall'emersione dei rilievi, che oggi indichiamo come mesozoici, e di parte della regione oggi coperta dalla formazione marnoso-arenacea umbra. Tali depositi terrigeni a NE dei rilievi mesozoici interni, salvo alcune eccezioni locali nelle sinclinali comprese fra questi ultimi e la dorsale Furlo-Arcevia, diminuiscono di spessore procedendo da NW verso SE, cioè dalla Valle del Conca a quella del Cesano; inoltre mentre nel bacino di Urbania cominciano col Tortoniano inferiore, a SW compaiono sempre più tardi nel Tortoniano medio o superiore (per maggiori dettagli si vedano pagg.93-103). Anche la subsidenza iniziatasi durante il Tortoniano medio nelle maggiori sinclinali neogeniche a NE dei rilievi mesozoici interni (pag.60) dimostra l'inizio di questa prima fase diastrofica (1).
Durante il Messiniano il mare si smembro sempre più per le emersioni via via più estese. Il bacino umbro era ormai ridotto solo alla sinclinale M. Vicino-M. Picognola, che venne colmata completamente da depositi sabbiosi prima della fine del Miocene; fra i rilievi interni e la dorsale Furlo-Arcevia si individuarono bacini variamente frastagliati che si vennero riempiendo gradualmente con successioni stratigrafiche assai diverse per composizione litologica e spessore. Anche a NE della dorsale Furlo-Arcevia si ebbero nelle varie zone differenze sensibili di facies e di depositi (1). Nel corso del Messiniano i movimenti plicativi della prima fase diastrofica continuarono a manifestarsi sensibili tanto che alla fine del Miocene tutta la catena marchigiana era già emersa e la linea di costa si portava all'esterno della lunga dorsale Ca' Bertino-Furlo-Arcevia-S. Vicino e del rilievo della Cesana.

Come si può dedurre da varie osservazioni, i rilievi emersi dal mare furono attivamente erosi durante il Messiniano. Così il rinvenimento di abbondanti Globotruncana lapparenti (= Gl. linnei auct.) entro il Messiniano medio della valle del Misa presso Colle Aprico, che dovettero provenire dal vicino rilievo di Arcevia, dimostra che la scaglia rossa era già fortemente incisa.
Del resto Globotruncane e Foraminiferi dell'Oligocene, Miocene inf. ed Elveziano rimaneggiati sono assai spesso frequenti (2) nelle molasse tortoniane e messiniane della regione, specialmente nell'Urbinate, al margine esterno della dorsale Furlo-Arcevia, nelle sinclinali di Pelingo-Serraspinosa-S. Stefano.

(1) Vedremo più innanzi (pag.83) il caratteristico ambiente evaporitico messiniano e le numerose variazioni di facies che si manifestarono anche in corrispondenza della formazione gessono-solfifera e nei terreni sovrastanti (v. anche Tav. IV, fig. 3).
(2) In certi campioni del Messiniano medio e superiore questi Foraminiferi rimaneggiati sono abbondantissimi e, per l'assenza o quasi di microfauna autoctona, essi costituiscono gli unici resti fossili.



Ca' di Bernardi, ecc. Vi è anche un ultimo fatto interessante da ricordare: in alcuni punti ma specialmente sul Cesano fra Pergola e Pantana (ad E della Stazione ferroviaria di Pergola) poco sopra ai gessi (nel caso citato 70-80 m sopra in serie) si rinvengono degli orizzonti conglomeratici a grossi elementi di Schlier (5-8 cm ed oltre il diametro). Tutti questi vari fatti mi pare dimostrino chiaramente l'attiva erosione subaerea di rilievi emersi e il trasporto da piccola distanza, cioè dalla catena marchigiana stessa, dei materiali (1).
Per buona parte del Pliocene inferiore (spesso anche fino al Pliocene medio avanzato) il mare, ormai ridotto solo a NE dei rilievi della Cesana e del Furlo-Arcevia-S. Vicino, fornisce depositi argillosi, che nella porzione medio-inferiore della serie segnano un approfondimento marino, determinato forse dal collasso tettonico successivo alla fase plicativa del Tortoniano-Messiniano. Persiste invece un abbondantissimo apporto sabbioso terrigeno nell'attuale regione costiera (anticlinali M. Balante-Cuccurano e S. Costanzo-Scapezzano, monoclinale Cattolica-Fano, ecc.); questi depositi clastici, iniziatisi nel Messiniano e perdurati per parte del Pliocene medio, dovevano essere alimentati con ogni probabilità da un rilievo emerso nell'attuale area adriatica (Tav. IV, fig 4).
Alla metà o meglio alla fine del Pliocene inferiore si ebbero i prodromi di una nuova fase diastrofica, che si espressero con un nuovo apporto di materiale terrigeno al margine dell'avanfossa (molasse di Sorbolongo-Fratte Rosa-Serra dei Conti) e con un progressivo ritiro e una diminuzione di profondità del mare. Durante il Pliocene medio il mare abbandonò forse definitivamente

(1) A questo punto è necessario un chiarimento. Il Prof. MERLA in un suo recente ed interessante lavoro (Boll, Soc. Geol. It., LXX, p. 288, 1952) suppone invece che le Globotruncane di Colle aprico non provengano dal rilievo di Arcevia, ma bensì da "parecchio lontano ad ovest e sudovest" dopo "aver percorso parecchie decine di km. A mio giudizio una tale interpretazione contrasta con l'ottimo stato di conservazione di questi Foraminiferi rimaneggiati e con la loro notevole abbondanza in certi punti. Ad ogni modo però non vi può essere alcuna incertezza per una provenienza vicina dei ciottoli di Schlier. Infatti oltre che per le notevoli dimensioni degli elementi e la facile erodibilità della roccia, questi ciottoli devono aver percorso un camino assai modesto in quanto, come ho già ricordato, la facies di Schlier compare solo nella catena marchigiana e nella sua avanfossa antistante; da quest'ultima però non potevano provenire perché in essa durante il Messiniano regnava ovunque il regime marino. D'altronde le numerose filliti dei tripoli dell'Urbinate, Sinigaglia, valli del Metauro e dell'Esino, ecc. dimostrano chiaramente che durante il Tortoniano e Messiniano erano già avvenute nella nostra regione emersioni non trascurabili.

Sempre nello stesso lavoro il Prof. MERLA fa notare come vi sia contrasto fra l'assenza di ciottoli calcarei nel Messiniano e Pliocene della nostra regione e le estesissime coltri ciottolose quaternarie nelle valli del Musone, Potenza, Chieti e Tenna; ed aggiunge: la cosa è "difficilmente comprensibile se questi terreni (cioè Messiniano e Pliocene) si fossero depositati contro le ripe (calcaree) già emerse o comunque denudate". Sulla questione si potrebbe discutere a lungo, ma qui mi limito alle seguenti considerazioni:

l'area fra Conca e Metauro e di ritrasse per un certo tratto dall'orlo interno dell'avanfossa a S del Misa; fra Metauro e Misa, sempre al margine SW dell'avanfossa, non è invece dimostrabile, come si è detto, un tal ritiro ma solo la comparsa di depositi littoranei-salmastri. Si veniva così svolgendo la seconda fase orogenetica marchigiana che, a differenza della prima essenzialmente plicativa, ebbe in prevalenza carattere disgiuntivo. Ad opera di essa si ebbero le fagliature e gli incuneamenti del massiccio, le strutture in parte gravitative della scaglia, lo pseudodiapirismo della Schlier, e tutte le altre strutture descritte al capitolo precedente. Questa fase diastrofica si svolse in breve lasso di tempo. Infatti già assai prima della fine (talora anzi poco dopo l'inizio) del Pliocene medio il mare riavanzò trasgressivamente sull'anticlinale di S. Costanzo-Scapezzano e all'orlo interno dell'avanfossa a S del Misa, senza però raggiungere l'estensione che aveva avuto all'inizio del periodo. Infatti, come ho detto, quasi certamente l'area fra Conca e Metauro rimase definitivamente emersa. Contemporaneamente il probabile rilievo adriatico, che aveva fornito anche i vari ciottoli cristallini, veniva sommerso dal mare. Il mare della fine del Pliocene medio raggiunse profondità discrete, quali forse non si erano più verificate dall'inizio del periodo, ma fu di breve durata per la costante regressione successiva. Infatti nel Pliocene superiore doveva essersi ritirato notevolmente se oggi ritroviamo i suoi depositi limitati alla monoclinale costiera fra Fano e Sinigaglia e nella sinclinale a SE di Cerasa.

  1. Il ragionamento esposto non mi sembra in accordo con quanto il Prof. MERLA dice nel medesimo lavoro (pag. 278), che cioè durante il Messiniano e Pliocene inf. per lo meno la scaglia e le formazioni successive non erano ancora dei depositi consolidati. Ma in tal caso la scaglia non poteva fornire ciotolame calcareo.
  2. I rilievi emersi o in via di emersione durante il Messiniano dovevano essere assai appiattiti, corrispondendo a pieghe con profilo dolce e abbastanza regolare (v. quanto si è detto in precedenza circa le strutture determinate dalla prima fase orogenica marchigiana). Non possiamo quindi paragonare i rilievi messiniano-eopliocenici con quelli quaternari o attuali; troppo diversi infatti erano le quote, la morfologia, l'assetto strutturale, ecc. Evidentemente assai meno intensi dovettero essere anche i processi erosivi e il conseguente trasporto dei detriti.
  3. Non vi sono elementi per dire che nel Messiniano-Eopliocene l'erosione avesse raggiunto il calcare rupestre e i complessi stratigrafici sottostanti, che potevano fornire abbondante ciottolame calcareo. Per le formazioni sovrastanti vale l'osservazione a).
  4. Depositi ciottolosi sono noti anche nel Pliocene inf. e Messiniano delle Marche (Urbania, Cingoli, sinclinali interne, pieghe costiere, ecc.). Non è improbabile che essi in passato fossero assai più estesi, ma troppo tempo è trascorso e troppe vicende tettoniche ed erosive sono intervenute da allora ad oggi. Che ne sarà ad esempio del ciottolame quaternario delle terrazze pedemontane del Potenza fra 12 milioni di anni (tanto secondo Holmes 1948 son durati Pliocene e Quaternario)?
Ad ogni modo mi sembra che la presenza o scarsezza di ciottoli non sia un argomento sufficiente per escludere una prima emersione della catena marchigiana nel Tortoniano-Messiniano, di fronte ai molti fatti che parlano in suo favore.



Prima della fine del Pliocene superiore tutta la regione metaurense e parte di quelle contermini per ampio tratto erano definitivamente emerse. Forse la cessazione del regime marino fu accompagnata dalla comparsa o dalla ripresa di alcune faglie longitudinali costiere e trasversali e dall'accettazione di altre più interne.
Dal Pliocene superiore in poi le forze erosive subaeree ebbero ormai incontrastato dominio nella nostra regione (1) e modellarono gradualmente le superfici fino al loro aspetto attuale. Movimenti attenuati di sollevamento si continuarono ancora per tutto il Quaternario, ma senza però avere un'importanza strutturale paragonabile a quella dei due cicli distrofici precedenti. Ultimo retaggio dei passati movimenti tettonici sono oggi solo i terremoti che si ripercuotono attraverso le faglie costiere.
Prima di chiudere devo avvertire che i ripetuti sollevamenti e sprofondamenti sono stati riferiti alla superficie non al substrato, prescindendo quindi sempre dai fenomeni di subsidenza che permisero l'accumulo delle enormi pile sedimentarie. Discuterò più avanti (pag. 177) il problema delle avanfosse neogeniche di sedimentazione marchigiane. Infine ho tentato con la Tav.IV di esprimere sinteticamente le vicissitudini paleografiche della regione.