'Il bacino del Metauro', di Raimondo Selli

Raimondo Selli

IL BACINO DEL METAURO
Descrizione geologica - Risorse minerarie - Idrogeologia

Edizione elettronica del volume edito nel 1954

PARTE V
COMBUSTIBILI FOSSILI

CAPITOLO III
PROSPETTIVE GASSIFERE E PETROLIFERE DELLE MARCHE SETTENTRIONALI

5. Tentativo di sintesi regionale delle Marche esterne (1)

Non ripeterò qui quanto esposto ai capp. II e III della I parte di questo lavoro, a cui rimando per molte notizie; dovrò invece intrattenermi, per una migliore comprensione dei fatti, su alcuni concetti d'ordine regionale finora non considerati. Anche in questo come nei paragrafi precedenti, l'argomento è

(1) Intendo qui, come anche in precedenza, i due termini "interno" ed "esterno" rispetto alla catena appenninica e alla sua vergenza generale.


dato fondamentalmente dalla regione compresa fra il Foglia e Recanati (1). Tre grandi unità geologiche con diversi stili tettonici (v. Parte I, cap. II) e con diversi ambienti di sedimentazione neogenica occupano l'area marchigiana:

  1. la zona della formazione marnoso-arenacea umbra;
  2. la zona dei rilievi mesozoici;
  3. la zona del Neogene esterno.

Tralascio l'esame delle due prime zone. Infatti per una interpretazione dettagliata della prima, che rappresenta, come si è detto, una grande fossa di sedimentazione miocenica a tettonica particolare (pag. 65) delimitata a NE dai massicci mesozoici interni (pag. 41), occorrerebbe prendere le mosse dalla Geologia toscana e nordapenninica; ciò che esula da ogni mia intenzione. Sulla porzione metaurense della seconda zona mi sono già a sufficienza intrattenuto, per quella più meridionale rimando ai molti lavori già pubblicati. Si può richiamare qui il concetto che questa seconda corrisponde a una catena a pieghe mesozoiche, con i particolari strutturali già descritti (pag. 42 e segg.), e racchiudenti numerosi bacini sinclinali di sedimentazione meso e sopramiocenica.
Vediamo meglio la terza zona, che è quella di reale valore pratico per la ricerca di idrocarburi, prendendo le mosse dal rilievo M. Spadaro-Furlo-Arcevia-S. Vicino-Sibillini (2) e in particolare dal suo margine occidentale.
A N del Metauro questo rilievo affiora come un'anticlinale a nucleo pseudodiapirico di Schlier, per cui non segna, come più a sud, il confine netto fra la seconda e la terza unità geologica marchigiana. Fra i fiumi Metauro e Cesano il nucleo mesozoico presenta, talora più o meno attenuati, i caratteri tettonici già visti per i rilievi interni marchigiani (pag. 47); cioè il fianco NE del grande rilievo strutturale degrada, sia pure bruscamente con disturbi locali e faglie, ma senza grandi interruzioni sulla terza zona. A S del Cesano i fenomeni disgiuntivi del fianco NE si fanno via via più forti e sono caratterizzati da un grande rigetto inverso, da mancate vergenze verso NE, da

(1) Per una migliore comprensione e una più ampia esposizione dei tratti fondamentali della geologia regionale marchigiana rimando a un mio precedente lavoro (217) e alla carta tettonica che lo accompagna.
(2) Ho già detto (pag.51) che questo non è un'unica struttura anticlinalica ma un enorme rosario di anticlinali con molte culminazioni.



sovrascorrimenti, ecc., che interessano talora perfino il Pliocene. Così al margine NE della Montagna della Rossa vi è una grande faglia inversa con un rigetto valutabile ad almeno 1400 m (206 pag. 42), che mette a diretto contatto il Pliocene inferiore con la scaglia rossa. Fra Esino e Tenna gli stessi disturbi si continuano al margine occidentale del S. Vicino e Sibillini.
So può concludere così che dal Cesano al Tenna e più a S fin oltre il Tronto, l'orlo esterno dei rilievi mesozoici della catena marchigiana è segnato da tutta una serie continua di cospicue faglie inverse e parziali accavallamenti secondo la linea di Arcevia-Serra S. Quirico-Frontale-S. Severino Marche-W di Sarnano-Arquata sul Tronto.
Questi disturbi tettonici hanno il carattere di quelli che accompagnano normalmente l'orlo interno delle avanfosse. Sia per questo, sia per la sua storia geologica la terza unità geologica indicata più sopra ha il significato di una vera avanfossa neogenica di sedimentazione con tutti i suoi caratteri peculiari quali: subsidenza, asimmetria dei fianchi, grande spessore dei sedimenti, ecc.

L'avanfossa marchigiana a N del Cesano si attenua rapidamente fino a sparire o quasi in corrispondenza del Metauro per il progressivo alzarsi del substrato. Fra Foglia e Metauro infatti emerge, come si è detto (pag.48) una serie di pieghe anticlinaliche parallele ed affiancate (Cesana, Colbordolo-Vergineto, M. Balante-Cuccurano, Pesaro-Fano) che nel loro insieme costituiscono una sella (1), cui si può dare il nome di sella Furlo-Novilara, degradante verso NE (2) e separante l'avanfossa marchigiana dai bacini di sedimentazione neogenici romagnoli.
Un'altra sella analoga ma con diverso profilo complessivo si può supporre fra l'Esino e il Potenza. Qui infatti emergono all'esterno del grande asse strutturale Furlo-S.
Vicino-Sibillini due rilievi mesozoici, M. Acuto di Cingoli (3) e M. Conero, altri due a nucleo Langhiano, Ancona e piega Cupramontana-Domo di Cingoli, e, circa intermedia a queste, l'anticlinale a nucleo affiorante Messiniano di Polverigi. A differenza però della sella Furlo-Novilara, che come ho detto ha il massimo rialzo a SW e il minimo a NE, questa sella, che chiamerò Cingoli-Conero, ha i massimi rialzi agli estremi e il minimo nella zona media. La sella Cingoli-Conero, la cui probabile esistenza è confortata da altri fatti geologici osservabili sul terreno, permette di suddividere l'avanfossa marchigiana in due bacini di sedimentazione: quello nordmarchigiano e quello maceratese-ascolano.

(1) Col termine di sella indico un sollevamento medio del substrato indipendentemente dalle pieghe che lo interessano e che possono considerarsi dei fatti locali. Tale sollevamento è trasversale rispetto all'avanfossa e ne interrompe la continuità longitudinale.
(2) Il degradare ininterrotto da SW verso NE delle pieghe che interessano questa sella è assai evidente, per cui queste, malgrado le varie faglie longitudinali assumono un assetto generale di pieghe a gradinata. Infatti da SW verso NE incontriamo il rilevo del Furlo a nucleo affiorante triassico, l'anticlinale della Cesana con nucleo eocretaceo, quella di Colbordolo-Vergineto con nucleo oligocenico; il pseudodiapiro di Schlier di Cuccurano e infine le anticlinali costiere fra Pesaro e Fano a nucleo affiorante messiniano-eopliocenico.
(3) Il rilievo di M. Acuto di Cingoli ha un marcato arrovesciamento verso NE e faglie longitudinali analoghe a quelle viste per i rilievi mesozoici della catena. Inoltre presenta segni evidenti di un parziale accavallamento verso NE che si è ripercosso anche nelle pieghe neogeniche immediatamente più orientali (Cupramontana-Domo, Montecarotto-Staffolo, Treia- Pollenza).



Il margine esterno del bacino nordmarchigiano è determinato dalla anticlinale di S. Costanzo-Scapezzano, che forse si riallaccia a quella di Polverigi (pag. 58); quello del bacino maceratese-ascolano è stato recentemente scoperto mediante la prospezione geofisica, in una lunga dorsale sepolta sotto i terreni del Pliocene e Quaternario marini. Tale dorsale si raccorda a N con le pieghe di Ancona e del Conero e decorre assai disturbata verso SE lungo la costa maceratese e con una leggera obliquità rispetto a questa.
Resta però il problema se questi rilievi emersi e sepolti segnano veramente il limite esterno dell'avanfossa marchigiana oppure solo dei due bacini nominati. La seconda ipotesi, per le varie ragioni che dirò risulta la più probabile e quindi occorre ammettere l'esistenza entro l'area dell'attuale Adriatico di altri bacini sedimentari, sempre nell'ambito dell'avanfossa marchigiana e ricercare il margine esterno di quest'ultima e l'avanpaese antro mare a qualche decina di chilometri dalla costa attuale.

Vari fatti ci permettono di supporre l'esistenza di un altro bacino di sedimentazione periadriatico, entro mare, fra le traverse di Rimini e Ancona. Anzitutto le varie strutture più prossime alla costa attuale non hanno nessuna il carattere di avanpaese, neppure il Conero che è un vero elemento appenninico come dimostra la sua serie stratigrafica e la sua struttura (103); una tale funzione è poi assolutamente inammissibile per le pieghe di Cattolica-Fano e S. Costanzo-Scapezzano. A NE le due selle Fano-Novilara e Cingoli-Conero sono delimitate da faglie di sprofondamento che inducono ad ammettere l'esistenza all'esterno di esse di bacini di sedimentazione. D'altronde l'avanfossa romagnola quasi ora completamente coperta dalle alluvioni padane non può bruscamente interrompersi in corrispondenza delle coste romagnole ma per lo meno prolungarsi a cingere il rilievo di Cattolica-Fano. Infine già abbiamo supposto per altre vie (pag. 39 e 147) rilievi cristallini sotto l'Adriatico, i quali sial per la composizione litologica, sia per la loro posizione possono realmente costituire l'avanpaese appenninico marchigiano. Questo avanpaese avrebbe alimentato la sedimentazione terrigena grossolana del Tortoniano-Messiniano-Eopliocene fra Cattolica e Fano e i conglomerati a ciottoli cristallini della base del Pliocene medio e anche oggi fornisce la "rena terebrante"; esso sarebbe in relazione con i fondi rocciosi al largo di Sinigaglia e forse con la fascia di "sabbioni", che corre parallelamente alla costa a una distanza di 25-28 km circa (pag. 148).

Possiamo ora brevemente sintetizzare quanto si è esposto in questo paragrafo e in precedenza. La catena appenninica marchigiana (2° unità strutturale) con tipico stile a pieghe e a faglie e con le particolarità tettoniche dette (parte 1° cap. II) è orlata all'esterno da un'ampia avanfossa di sedimentazione neogenica (3° unità strutturale), che a sua volta è delimitata all'esterno da un avanpaese almeno in parte cristallino-metamorfico. Nell'avanfossa marchigiana (delimitata a N rispetto ai bacini preapenninici romagnoli della sella Furlo-Novilara) sono distinguibili tre grandi bacini di sedimentazione: nord marchigiano, maceratese-ascolano, periadriatico-marchighano. I primi due più o meno nettamente separati fra loro dalla sella Cingoli-Conero sono oggi in terraferma, il terzo è sottomarino. Quest'ultimo, separato rispetto agli altri due dai rilievi litoranei di Cattolica-Fano, S. Costanzo-Scapezzano, Ancona, Conero e altri sepolti più a S, è forse in continuità con l'avanfossa romagnola (1). Nella Tav. IX ho cercato di schematizzare questi bacini di subsidenza.
Rimandando a lavori già pubblicati (217, 218) per molti altri fatti interessanti, mi limito qui ad alcune notizie complementari. Tutte le pieghe marchigiane hanno un netto e costante parallelismo (2), sia nella catena sia nell'avanfossa, e spesso sono allineate a rosario secondo grandi assi strutturali. Però fra la displuviale Conca-Foglia e la sella Cingoli-Conero hanno un orientamento NW-SE, a S di quest'ultima ne acquistano un altro NNW-SSE. Cioè questa sella corrisponde all'incirca anche a un asse di leggera torsione tettonica.

(1) Ad evitare equivoci qui e altrove credo necessario aggiungere che col termine di bacini sedimentari intendo essenzialmente delle aree di subsidenza ben delimitate e distinte fra loro e non identifico con questi limiti quegli degli antichi mari. Infatti fra i mari neogenici che coprivano i vari bacini marchigiani le comunicazioni furono sempre amplissime (soprattutto fra quelli nordmarchigiano e maceratese-ascolano). Cioè attribuisco al concetto di bacino sedimentario un significato strutturale regionale anziché solo paleografico, che qui è secondario.
(2) Ciò naturalmente non toglie che, come si è detto, (pag. 62), le pieghe spesso confluiscano fra loro o si associno variamente.



A N dello spartiacque Conca-Foglia fino al Forlivese si ha invece nel Neogene esterno il sovrapporsi di due direttrici tettoniche, quelle nord-marchigiane e quelle nord-appenniniche. Quindi la sella Furlo-Novilara ha importanza dal punto di vista paleografico per delimitare le aree di subsidenza e segna anche il limite di orientamenti strutturali regionali.
I bacini sedimentari si sono individuati col Tortoniano in relazione con la prima fase diastrofica della regione, ma è stato solo con la fine del Pliocene inferiore che si sono accentuati e delimitati definitivamente. Il bacino nordmarchigiano alla fine del Pliocene superiore era ormai emerso; in quello maceratese-ascolano vi fu abbondante sedimentazione marina per parte del Quaternario; in quello periadriatico la sedimentazione perdura tuttora. L'esame del generale carattere regressivo delle serie postelveziane in rapporto con le fasi orogenetiche e con lo sviluppo dei bacini di sedimentazione sarebbe interessante ma mi porterebbe ad esporre dati troppo numerosi e dettagliati per questa sede.