'Il bacino del Metauro', di Raimondo Selli

Raimondo Selli

IL BACINO DEL METAURO
Descrizione geologica - Risorse minerarie - Idrogeologia

Edizione elettronica del volume edito nel 1954

PARTE V
COMBUSTIBILI FOSSILI
CAPITOLO II
MARNE BITUMINOSE

Nella regione del Metauro e in quelle contermini compaiono impregnazioni bituminose in tre distinti orizzonti della serie stratigrafica e cioè:

  1. Varie lenticelle e straterelli bituminosi nelle marne a Fucoidi (Albiano).
  2. Lo strato bituminoso del Cenomaniano.
  3. Impregnazioni varie connesse per lo più con marne, ma talora anche con altre rocce, del Messiniano e in particolare della formazione gessoso-solfifera.

Vediamo di esaminare meglio queste manifestazioni che ci serviranno a chiarire dei problemi che esamineremo al capitolo successivo.

  1. Impregnazioni bituminose nelle marne a Fucoidi. Come già si è accennato (pag. 18) entro questo orizzonte e specialmente nella parte più marnosa del complesso sono frequenti le lenti e i livelli bituminosi. Essi hanno però una continuità e individualità limitata; infatti nella parte media questi livelli hanno un contenuto di bitume più elevato che sfuma per gradi con maggiore o minore rapidità sia verticalmente sia orizzontalmente alla marna sterile circostante. Non solo i singoli livelli bituminosi non hanno continuità, ma neppure la bituminizzazione è sempre presente, mancando infatti essa completamente in varie zone. In contenuto in bitume è generalmente assai basso. Lo spessore dei singoli livelli si mantiene per lo più intorno a pochi centimetri e solo raramente raggiunge i 15-20 cm. date queste condizioni queste impregnazioni non hanno importanza per un eventuale fruttamento.
    Devo ricordare che spesso gli AA. (101, 136, ecc.) hanno confuso o per lo meno associato queste impregnazioni con quelle dello strato di cui dirò qui sotto; si tratta di due orizzonti ben distinti separati fra loro da 70-80 metri di scaglia bianca.
  2. Lo strato bituminoso del Cenomaniano. Entro la scaglia si trova sempre, a meno che non siano intervenute faglie o stiramenti, uno strato bituminoso che spicca bene per il suo colore nerastro dalla scaglia bianca o rosea circostante (pag. 21).
    La roccia è di colore nero intenso se fresca, invece grigiastra o gialliccia (per efflorescenze di zolfo) o bruna (per ossidi idrati di ferro) se è stata esposta agli agenti atmosferici; è compatta ed opaca, ha frattura concoide e poliedrica e tende a rompersi in piastrelle di 2-3 cm di spessore secondo i piani di stratificazione. In sezione sottile ha una grana finissima e una struttura uniforme; invece la bituminizzazione, pur essendo diffusa in tutta la massa, si presenta più intensa in frequentissime zonule. Emana dalle superfici fresche odore di idrocarburi e brucia con fiamma abbastanza lunga. Qua e là vi sono noduletti di pirite che danno per alterazione in superficie spalmature limonitiche. Oltre che per la bitumizzazione si differenzia dalla scaglia circostante per un maggior contenuto argilloso. Già le sezioni sottili mostrano un contenuto elevato in sostanze bituminose tanto che riesce difficile ottenere una discreta trasparenza. Sono frequenti le squame, vertebre, ecc. di pesci, che normalmente non appaiono bituminizzate e spiccano per il loro colore bruno e la lucentezza. Fra questi fossili de Angelis d'Ossat determinò un dente di Oxyhina mantelli Ag. (76). La stratificazione è netta e piuttosto sottile. dai dati esposti risulta trattarsi di un sedimento finissimo, di deposito assai lento e batiale.
    Questa roccia rappresenta un vero "Oil-shale" secondo la nomenclatura corrente (1); essa è infatti impregnata di bitumi insolubili ai comuni solventi (cloroformio, etere, tetracloruro di C, ecc) e alla luce ultravioletta non dà quella caratteristica luminiscenza delle rocce sfaltifere. Per una più precisa conoscenza di queste marne bituminose dal punto di vista pratico è importante un'analisi di M. G. LEVI (1924) riportata da LOTTI (101); non è però indicata la località di provenienza. Ecco i dati: la resa in olii è del 7,68% (si può tener presente che a Ragusa si distillano rocce con un contenuto del 6-8%). Da una tonnellata di marna sono estraibili kg 76 di olio grezzo, di cui kg 15 di benzina, kg 21 di olii medi e kg 37 di olii pesanti. Lo zolfo non è in quantità rilevante e una parte di esso passa nel gas; l'azoto è presente in quantità normale e si può valutare che non più del 10% possa liberarsi in forma ammoniacale a 500°, ciò che sarebbe 3-4 kg di solfato di ammonio per tonnellata di roccia (operando opportunamente si può sperare in una resa fino a 15-20 kg per tonn.). Il gas sviluppato è molto calorifico. Rispetto agli scisti bituminosi francesi dell'Autunois e a quelli scozzesi i nostri non sono inferiori nel loro comportamento. (1) Si tratta cioè di una di quelle rocce indicate spesso anche col nome di scisti bituminosi e impregnate di pirobitumi, bitumi insolubili o "kerogene", secondo la nomenclatura assai varia e spesso confusa esistente sull'argomento.


    Come si è detto questo strato bituminoso ha uno sviluppo enorme e affiora in tutti i rilievi mesozoici dai monti di Gubbio al monte della Cesana e dai dintorni di Piobbico al versante orientale del Catria; si continua poi ancora nei rilievi più meridionali almeno fino ai dintorni di Camerino se non oltre. Esso conserva sempre i caratteri litologici particolari descritti più sopra che permettono di seguirlo e di distinguerlo nettamente dalla scaglia circostante (1).
    Lo strato è intercalato alla parte più alta della scaglia a Globotruncana appenninica Renz e a 70-80 metri dalla base della scaglia. Normalmente è interposto alla scaglia bianca , talora però (M. Cimaio) segna il limite tra la scaglia bianca e rossa oppure (versante N e NE del M. Nerone) è intercalato a quella rossa; ciò prova ancora una volta che queste differenze di colorazione non hanno un vero valore stratigrafico. Come ha già notato LOTTI (101) nello strato di scaglia sottostante a quello bituminoso vi è un letto di selce nera che viene quindi a trovarsi a pochi centimetri dalla base delle marne in questione.
    Sia per questi fatti sia per la possibilità di seguirlo passo passo talora per molti chilometri si può dire che lo strato bituminoso rappresenta un orizzonte guida di enorme estensione e continuità; ciò del resto era già stato affermato da molti AA. (76, 101, ecc.). Solo RENZ (158, pag. 22) ha negato questo valore stratigrafico dello strato basando l'affermazione sul rinvenimento nei dintorni di Fossombrone di un altro pure bituminoso più esile (10 cm) presso la base della serie sopra-cretacea, sul mancato ritrovamento di quello di cui ci occupiamo (che viceversa esiste anche nei dintorni di Fossombrone) e su inesatte osservazioni di altri AA. (136).
    Oltre la enorme continuità è sorprendente la relativa costanza di spessore; che si aggira normalmente fra m 0,80 e m 1,50 con la media di un metro circa.
    L'andamento degli affioramenti dello strato bituminoso risulta facilmente dalla Tav. VII. Mi limiterò perciò qui a brevi cenni illustrativi.

    Anche se è fuori dalla nostra regione si può ricordare che nei dintorni di Gubbio (valle del Bottaccione e altrove) lo strato ha 80 cm circa di spessore (25, 158). Sui due fianchi del rilievo
    (1) Anche il contenuto paleontologico delle due rocce è diverso. Ad esempio i resti di pesci così abbondanti nell'orizzonte bituminoso mancano praticamente del tutto nella scaglia dove è stato trovato un solo dente di Ptychodus latissimus.


    M. Nerone-Catria corre una serie di affioramenti che sono seguibili anche verso SE fuori dalla nostra regione. Le interruzioni, sono dovute o a disturbi tettonici o coperture detritiche. Nel versante SW del rilievo lo strato affiora lungo la strada Sassorotto-San Cristoforo di Carda con lo spessore di circa 80 cm, inclinazione 10° verso W e molto resti di pesci. Ricompare poi qua e là entri la scaglia bianca sul versante E del M. Carda, sulla Costa i Ranchi e presso la mulattiera Seravalle-Cupa dei Materozzi. Si segue quindi sul versante NE del M. Bozzone e del M. Carpineto. Da S di Cerreto, dati gli scarsi disturbi tettonici; l'affioramento è quasi continuo lungo la valle del Ciordano, sui fianchi del M. Frontino fino alla strada Pianello-Secchiano, quindi al M. Moria, alla Roccaccia fino alla via Flaminia 500 m a valle di Ponte d'Azzo dove ha 85 cm di spessore e inclina di 65° verso SW. sale poi a Monfrante e costeggia quindi i monti Tenetra, Acuto e Catria.
    Sul versante NE per le maggiori dislocazioni, manca spesso questa continuità. Lo strato affiora a S di Acquanera, alle pendici del M. Serrone e al M. Sodello, dove ha solo 50 cm di spessore; di qui si segue ininterrottamente fin presso la vetta del M. Cimaio e al versante S di Poggio le Guaine e sotto Via Strata. Scompare ai due lati della valle del Bosso per poi riprendere fra le Smirre di M. Petrano e Serra Ventosa, dove ha circa 60 cm di spessore e inclina di 70° verso NE. Alla Bandirola a SW di Cagli, per la presenza di un anticlinale secondaria, esso riaffiora per breve tratto con 35 cm di spessore e 55° di pendenza verso SW, sempre accompagnato dal ricordato letto di selce nera. Fra Serra Ventosa e M. Campifobio, nella valle del Burano i maggiori disturbi tettonici ne interrompono l'affioramento. Non ho compiuto ricerche a SE di questo monte ma penso che anche qui (pendici di M. Acuto e M. Catria), per le stesse cause, affiori raramente. Nel rilievo del Montiego si hanno comparse saltuarie sulla vetta dell'anticlinale ai due lati della valle del Candigliano e nel fosso di Montiego; lo strato è stato invece eliminato tettonicamente sui fianchi dell'anticlinale. Sul fondo del Rio Faeto, a monte dell'Orsaiola, dove l'erosione è riuscita ad intaccare la scaglia bianca lo strato bituminoso riaffiora con una forte ginocchiatura ad angolo retto e con molti disturbi che si continuano poi nella scaglia rossa sovrastante; esso ha qui 80 cm di spessore ed è ricco di ittioliti; mezzo metro più sotto segue il solito letto di selce nera.
    Il livello bituminoso si ripresenta nel nucleo delle anticlinali dell'Abbadia di Naro e di Acqualagna, ai due lati della gola del Furlo e sul Metauro di fronte a Fossombrone nella parte più interna affiorante del rilievo della Cesana. In tutti questi affioramenti lo strato è sempre inferiore al metro e, salvo che nella gola del Furlo, affiora per limitata estensione.
    A complemento di queste notizie occorre accennare che in passato furono fatte ricerche di questo strato con qualche limitato scavo a giorno nei dintorni di Piobbico (Sassorotto, Acquanera), all'Orsaiola, all'Abbadia di Naro, nei dintorni di Acqualagna e al Furlo. Ma si è trattato sempre di lavori di minima entità.
    Per quanto esuli dal bacino del Metauro, conviene accennare allo strato bituminoso del rilievo M. Roma-M. delle Streghe dove affiora secondo due allineamenti paralleli che dai dintorni di Frontone si seguono fino al Colle dell'Aspro presso la ferrovia Sassoferrato-Fabriano. Di molti di questi affioramenti diede notizia DE ANGELIS D'OSSAT (76) e di quello delle Foci di Frontone il LOTTI (101). In tutti questi gli spessori si aggirano fra m 0,80 e m 1,50; però sono frequenti nello strato le intercalazioni di roccia sterile che alla Foce di Frontone raggiungono la proporzione di 1/3. Parte di questi affioramenti fu esplorata a varie riprese con gallerie fino a 55 m di lunghezza.
    Nell'allineamento di NE lo strato ha forti pendenze, e spesso è verticale o ribaltato, nell'altro fianco dell'anticlinale le pendenze sono invece generalmente più dolci; frequenti sono anche gli arricciamenti connessi con la complicata tettonica di dettaglio che presenta talora la scaglia. Per maggiori notizie, dato che questi affioramenti escono dalla regione in esame, rimando agli autori citati e in particolare a DE ANGELIS D'OSSAT (76).

    Si presenta ora il problema delle possibilità pratiche di queste marne bituminose, per le quali gli AA. sono stati generalmente assai ottimisti (25, 76, 101). Indubbiamente esse affiorano su una estensione vastissima che si può valutare almeno di 75X25 km, con una potenzialità complessiva enorme (dell'ordine di miliardi di tonnellate). Tenendo però conto che le possibilità di estrazione sono in ogni caso limitate solo alla porzione emergente dai fondi vallivi dei rilievi mesozoici ( più in basso infatti è certo il frequentissimo incontro di acque sotterranee), i quantitativi divengono assai più limitati pur rimanendo sempre considerevolissimi. In superficie poi lo strato è più o meno alterato e quindi presenta una buona resa solo a una certa distanza dall'affioramento. Inoltre nel caso di una giacitura subverticale lo strato è ben conservato; quando invece è orizzontale o a debole inclinazione presenta alterazioni più o meno profonde perchè costituisce un orizzonte acquifero locale; se poi intervengono faglie o pieghettamenti la situazione peggiora notevolmente. Se lo spessore va al di sotto del metro, come generalmente avviene nel bacino del Metauro (dove in media ha 0,60-0,80 m), l'estrazione in galleria, che è l'unica possibile, si fa troppo dispendiosa. Infine occorre tener presente che, se l'analisi più sopra riportata è molto favorevole, occorrono però altre ricerche analitiche per dimostrare la costanza dei caratteri e di contenuto bituminoso ed inoltre occorre valutare le percentuali di sterile incluso, che spesso non sono trascurabili.
    Con queste considerazioni il quadro perde molto delle sue attrattive. D'altro canto una estrazione con gallerie e un successivo trattamento per distillazione non riesce remunerativo dato l'esiguo spessore dello strato. Però possono esservi altre utilizzazioni più convenienti di queste rocce bituminose. può anche darsi che procedimenti di riscaldamento e distillazione in sotterraneo, analoghi a quelli tentati recentemente in Svezia per scisti bituminosi e altrove per ligniti, possano avere successo per questo nostro strato. Il problema va quindi studiato con molta cura ma non ci si può in ogni caso fare soverchie illusioni.
    Si può quindi concludere che scelte località più propizie, studiati accuratamente la giacitura, i mezzi di estrazione e le utilizzazioni più adatte, non è da escludere che si possa pervenire un giorno a una lavorazione redditizia dello strato bituminoso. Al momento però se si vuol solo estrarre e distillare il materiale non credo si possano avere speranze, prova ne siano i tentativi infruttuosi già fatti (1).
  3. Impregnazioni bituminose nella serie Messiniana. Come si è visto (pag.93 e segg.), entro il Tortoniano sup. e il Messiniano e più particolarmente entro la formazione gessoso-solfifera e nelle rocce adiacenti sono frequenti le lenti e i livelli bituminizzati. Al disotto dei tripoli esiste quasi dovunque nella nostra regione un complesso di marne grigie a bande bituminose potente alcune decine di metri che comprende il Tortoniano più alto e gli strati di passaggio al Messiniano. Altre impregnazioni si trovano nelle marne fogliettate intercalate alla formazione o nel calcare solfifero o nei gessi. Pure bituminizzate in vario grado sono le argille marnose sovrastanti la formazione e incerti casi anche gli orizzonti sabbioso-molasici intercalati. Si può dire che queste impregnazioni sono diffuse in quasi tutta la serie messiniana e in certe zone (Anconetano e Maceratese) sono cospicue, abbondanti e anche accompagnate da emissioni di gas. In occasione di lavori minerari esse hanno assunto un aspetto vistoso determinando veri stillicidi di bitume (Cà Fabbri, Cà Bernardi, ecc.).
    Esse non hanno importanza pratica per una diretta utilizzazione, ma una indiretta per quanto dirò al capitolo seguente (2). Data l'enorme diffusione e il gran numero di affioramenti o ritrovamenti in galleria credo sia inutile soffermarsi a descrivere o anche solo a citare le singole località. Qualche notizia si potrà trovare nel cap. III della parte II.
    (1) Rimontano infatti ad oltre un secolo le prove, generalmente però solo di laboratorio per una loro utilizzazione.
    (2) È ben noto che la presenza di queste impregnazioni bituminose nel Messiniano ha dato argomento a molti AA. per sostenere che lo zolfo sia derivato da riduzione di gessi ad opera di idrocarburi. Personalmente non condivido una tale interpretazione; ma troppo vasta è la questione per affrontarla in questa sede (v. anche pag.113).